Michele Ainis racconta l’Italia degli inganni
In “Romanzo nazionale” il costituzionalista raccoglie cinque anni di articoli rielaborati alla luce dell’attuale crisi politica, economica e sociale

di Sergio Buonadonna
Professor Ainis, partiamo dal titolo. L'Italia e gli inganni della politica sono il romanzo nazionale?
. «Nulla è cambiato dallo scenario che Tomasi di Lampedusa disegnò nel Gattopardo che rimane il romanzo che esprime con più perdurante profondità la condizione esistenziale degli italiani».
La parabola della Seconda Repubblica si chiude definitivamente? E ingloriosamente?
«Se questo è, siamo alla terza repubblica perché i poli non sono più due, ma tre. Ad oggi certo il sistema politico è cambiato ma il problema di fondo è che è mutato senza veri cambiamenti istituzionali e costituzionali sicché si prospetta una terza Repubblica con la Costituzione della prima».
Il libro registra lo sfaldamento della semplificazione nella destra come nella sinistra, dove Renzi – dice – suona il rock'n’roll e Bersani il liscio romagnolo. C'è insomma lo spartito ma non più il partito?
«Lo stesso fenomeno lacerante che sta disgregando le istituzioni con un eccesso di commensali ha la sua proiezione nei partiti ciascuno dei quali è un firmamento con tanti soli. Forse regge di più il Pdl, ma lo spettacolo del Pd è disarmante. Basta vedere le primarie di Roma: non una competizione tra parenti ma una lotta tra serpenti».
Come dice Recalcati, Napolitano sembra l'unico adulto del Paese. L'Italia ha sempre bisogno di un Padre?
«Concordo in pieno con l'opinione del famoso psicanalista. Quante volte (troppe) in passato gli italiani si sono affidati alla figura paterna conferendole anche poteri tali da sfigurare la democrazia. Napolitano almeno soccorre quando c'è bisogno di unificare».
Tra la democrazia immediata di Berlusconi e la democrazia diretta di Grillo, la Sinistra è tagliata fuori?
«Apparentemente sì, perché la Sinistra rimane ferma a una visione ottocentesca della forma partito, però le va riconosciuto il ricorso alle primarie. Un gran balzo in avanti».
Il governo Berlusconi 80 decreti legge, 34 Monti, la frantumazione delle certezze legislative, riforme annunciate e mai realizzate, una per tutte le Province. La Regione Sicilia le ha abolite, ma poteva farlo?
«La confusione regna sovrana. Lo Statuto Siciliano non prevedeva le Province, vennero poi introdotte con una legge negli anni Sessanta, il che ha reso più facile la decisione non trattandosi di una legge costituzionale ancorché la questione rimanga giuridicamente controversa. Le Province, però, sono diventate l'emblema dell'elefantiasi del sistema cioè dei troppi livelli di governo che alla fine sgovernano il sistema».
Il caso più eclatante è la rissa fra politica e giustizia?
«È l'elemento principale che ha caratterizzato gli ultimi vent'anni. Ricordiamoci che tutto è nato da Tangentopoli ma non è mai finita la partita su chi avesse il primato tra giustizia e politica. Le ultime elezioni ci consegnano però la sonora sconfitta di un partito che per la prima volta nasce come movimento non tanto dei giudici ma di un giudice, Ingroia, aldilà dell'evidente errore di quest'ultimo di essersi candidato non appena aver chiuso un'indagine politicamente molto sensibile come quella su Dell'Utri e i rapporti Stato-mafia, così estendendo il sospetto e dando un duro colpo alla propria popolarità. Tuttavia il confronto politico non c'è neanche stato perché “Rivoluzione civica” è arrivata in un momento di stanca nella lotta tra le due parti. Come se nella partita entrambe avessero già perso».
Scrive che le Regioni hanno poteri enormi, potrebbero anche fare politica estera. Insomma il Friuli Venezia Giulia ha più poteri della California. Secondo la Corte dei Conti, la spesa delle Regioni è cresciuta negli ultimi 10 anni di 90 miliardi. Con quali conseguenze?
«Il grosso della spesa è quella sanitaria e che vi è in questo un'interpretazione eccessiva dell'esigenza federalista, il che ha portato a caricare di troppe competenze le Regioni. Ogni esigenza legittima, se coltivata senza tener conto di altre necessità, diventa nefasta. Le stesse possibilità offerte dalla modifica del Titolo quinto della Costituzione hanno portato ad una maggiore ed autonoma presenza delle Regioni in Paesi stranieri o comunque vicini per ragioni storico-culturali».
L'Italia è in stallo politico, istituzionale e democratico. Come vincere la paralisi?
«Uscendo dalla stalla, mi vien da dire. Mi chiedo: il bipolarismo è morto o no? Io non credo che le istituzioni possano essere una camicia di forza cucita addosso a un corpo politico. È difficile la riduzione a due come avviene per storia e cultura nei Paesi anglo-sassoni. Noi restiamo l'Italia dei mille campanili. Dobbiamo prenderne atto e senza provare a sopprimere questa attitudine, cercare di governarla».
In questi giorni lei è stato criticato per avere sostenuto che il Porcellum può essere abolito per decreto tornando al sistema elettorale precedente, il Mattarellum, anch'esso imperfetto ma non certo uno scandalo.
«Ne resto convinto. Il governo Monti ha appena fatto un decreto in cui muove quaranta miliardi, non può farne un altro in cui pur senza la fiducia introduca non elementi come il doppio turno o il sistema tedesco che richiedono un dibattito politico, ma semplicemente rimetta in circolo il sistema che c'era prima? Sarebbe il paracadute che permetterebbe poi alle forze politiche di entrare nel merito di una legge migliore».
Secondo lei sono possibili le commissioni senza governo?
«L'unico criterio che i regolamenti parlamentari utilizzano è la proporzione tra i gruppi, ma va detto che il diritto parlamentare si nutre di prassi e di consuetudini e immagino che a questo si sia attenuto il presidente del Senato, Grasso, respingendo la proposta».
È possibile una democrazia senza partiti o è tempo di ristrutturare tutto?
«I fatti ci stanno dimostrando che è impossibile una democrazia con un eccessivo peso dei partiti. Direi che la Costituzione è stata tradita perché l'art. 49 parla dei partiti partendo dal fatto che i cittadini concorrono alla formazione della vita democratica. Quindi i partiti sono soggetti fra tanti ma non i piloti solitari come invece appaiono oggi».
Perché ritiene che Grillo sia una novità incredibile?
«L'avevo scritto prima del risultato del voto che certamente è stato spiazzante e sbalorditivo. Per ora mi limito a dire che gli effetti sono da verificare dall'uso che il Movimento saprà fare della fiducia ricevuta da un quarto degli elettori».
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