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Per le imprese nuova scure: la “tassa” sui licenziamenti

L’Inps ha inviato la circolare: 483 euro all’anno per ogni dipendente “cassato” Mobilità per 1560 nel 2012, quest’anno 1000 apprendisti non confermati

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Mentre i dipendenti perdono il lavoro, e le imprese perdono lavoro, dipendenti e ditta, arriva con effetto retroattivo da gennaio quella che già è stata soprannominata “la tassa sul licenziamento”.

Con la nuova “legge Fornero” il datore di lavoro che licenzia (anche per crisi) è obbligato a versare all’Inps il 41% della nuova assicurazione per disoccupati Aspi, che sostituirà la cassa integrazione. Un freno ai licenziamenti facili. Ma in tempi di crisi una mazzata.

La legge fa base su uno stipendio di 1180 euro. La contribuzione Aspi per un lavoratore a tempo indeterminato, che ha lavorato per molti anni nell’azienda, non può superare i 3 anni, ma nemmeno essere inferiore. Quindi il datore di lavoro per ogni licenziato da gennaio in qua dovrà pagare 483 euro se il suo dipendente ha lavorato per un anno, o 1451 euro se il rapporto di lavoro era di lunga durata (tre anni o più).

L’Inps il 22 marzo ha spedito la circolare esplicativa, la numero 44. I datori di lavoro sono obbligati a pagare. Ma quanto? Per quanti? Le statistiche sul lavoro sono molteplici, su tutta la selva oscura dei contratti in cui ci si dibatte con tanto affanno. Ma quanti siano i “licenziati” non lo sa esattamente nessuno (c’è il dato nazionale: + 8,8%, pari a oltre 18 mila persone, nel terzo trimestre 2012 rispetto al corrispondente periodo 2011).

Adriano Sincovich, segretario provinciale Cgil, il conto però lo fa molto presto: «Nel 2012 a Trieste ci sono state 1561 “mobilità”, e queste equivalgono a licenziamenti, sommando tutte le altre tipologie arriviamo a 2500-2600 licenziamenti». Enrico Eva, segretario generale di Confartigianato, ricorda i «300 licenziati per chiusura di imprese edili da ottobre 2012 a gennaio 2013».

Dunque non c’è solo il problema dei licenziati, ma anche dei datori di lavoro, che nel fragile tessuto della media e minima impresa triestina sono già alla disperazione, tra mancati pagamenti e banche. Dice Eva: «Il provvedimento riguarda anche circa 1000 apprendisti a Trieste che nel 2013 non sono stati confermati, per difficoltà economica, a tempo indeterminato. Anche per loro le aziende dovranno pagare 483 euro per ogni anno di servizio». E qui ci sono dunque altri 483 mila euro da versare allo Stato, anzi di più: l’apprendistato dura anche 3-4 anni. E in più la beffa: «L’apprendista non ha diritto all’Aspi, ma il datore deve pagare questa contribuzione lo stesso. I nostri iscritti credono di non aver capito bene... E invece è proprio così». Lo sconforto dilaga.

Infine non è stato confermato, come pareva, che i licenziati da azienda con meno di 15 dipendenti hanno diritto alla mobilità, e di conseguenza chi assume attingendo a quelle liste ha uno sconto sui contributi. Retroattivamente, è stato detto che non era così. «Pertanto - dice Eva - chi ha appena assunto con certe aspettative, ora dovrà pagare i contributi interi e pure gli arretrati da gennaio, e certo non potrà licenziare, anche perché altrimenti gli toccherebbe di pagare il 41% dell’Aspi... Mettiamo uno stipendio medio di un metalmeccanico artigiano di quarto livello (specializzato), il suo lordo mensile è di 1100 euro. Se assunto dalle liste di mobilità, il contributo per il datore di lavoro è di 120 euro al mese, se invece è intero passa a 296, più del doppio». Il ministro Fornero ha appena emesso una circolare: a parziale sanatoria, 190 euro al mese al datore di lavoro in questa situazione, fino alla fine del fondo stanziato, che per tutta Italia è di 20 milioni di euro.

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