Trieste, anno zero. Portocittà, la società aggiudicataria della concessione di 70 anni delle aree demaniali del Porto vecchio, sbatte la porta e se ne va.
Con una nota stampa annuncia che «per fattori non dipendenti dalla propria volontà, si trova costretta a interrompere le attività previste dalla concessione per la riqualificazione del Porto Vecchio di Trieste. Il Consiglio di amministrazione ha informato di ciò, a mezzo lettera, l’Autorità Portuale lo scorso 22 febbraio e annuncia oggi, suo rammarico, che tutelerà gli interessi materiali e reputazionali della società mediante l’avvio di azioni giurisdizionali presso il competente Tar».
Portocittà mette assieme due grandi imprese di costruzioni (Rizzani de Eccher e Maltauro) e alcune banche (Biis Intesa Sanpaolo, Carifvg, Sinloc). L'investimento su Porto vecchio avrebbe dovuto superare di parecchio il miliardo di euro.
La decisione di Portocittà, tutt’altro che un fulmine a ciel sereno, segna in un certo senso la fine delle speranze di rinascita della città di Trieste. «Una decisione difficile e sofferta maturata - spiega la nota - a seguito della presa d'atto dell'impossibilità di proseguire nello sviluppo del progetto a causa del protrarsi del regime di incertezza generale che ha contraddistinto il recupero del Porto Vecchio di Trieste».«L’azienda - afferma il comunicato di Portocittà - è purtroppo costretta a rilevare che l’incertezza e l’indecisione hanno vanificato gli sforzi profusi da Portocittà per risolvere le innumerevoli complessità di un progetto così importante, articolato e gravoso quale la riqualificazione e il riuso del Porto Vecchio di Trieste».
«Il “no se pol” - è l’ammonimento degli imprenditori di Portocittà - è un fantasma che pare non volersene andare da Trieste».
Sul giornale in edicola venerdì 1 marzo tutti i dettagli dello strappo.