In Consiglio regionale donne a rischio esclusione
Presenza femminile garantita solo in giunta. L’obbligo di inserire in lista il 40% di candidate non assicura l’elezione

TRIESTE. Nel 1998 furono 5 su 60. Nel 2003 appena di più: 7 su 59 (ma 2 paracadutate dal listino del governatore). Nel 2008, annus horribilis per le donne della politica del Fvg, solo 3 su 59 trovarono posto nel Consiglio regionale. Nel 2013, tuttavia, potrebbe andare pure peggio. Le quote rosa sono infatti previste solo in giunta, lì dove, peraltro, non ci sarà posto che per due caselle al femminile.
L’aula dimagrisce: dopo il via libera del Parlamento alla modifica statutaria che cambia il rapporto eletto/abitanti da uno ogni 20mila a uno ogni 25mila, il Consiglio Fvg conterà su una decina di seggi in meno rispetto agli attuali 59. Inoltre la preferenza unica, sulla carta, non aiuta le donne. Mentre Renzo Tondo, in attesa della partita regionale, ricorda che ai primi posti della lista alla Camera ci sono due donne, Debora Serracchiani attacca: «Avevamo una grande occasione per fare avanzare la presenza femminile in Consiglio, ma il centrodestra ha preferito mantenere i vecchi sistemi che garantiscono gli assetti esistenti». Riferimento alla proposta di legge sulla doppia preferenza di genere «presentata da tutto il centrosinistra» che secondo la candidata del Pd è «l’unico metodo con cui si potrebbe assicurare la partecipazione delle donne alla vita politica a livello regionale. Il Pd è in prima fila in questa battaglia: il nostro sforzo è di rendere le donne eleggibili, ma non sono davvero più i tempi in cui un partito convogliava le preferenze e decideva chi doveva essere eletto». Politically correct, Daniele Galasso osserva, in risposta, che «non è detto che il voto, solo perché unico, vada agli uomini». Ma Gianfranco Moretton, ex capogruppo Pd, non ha invece troppi dubbi: «Meno seggi a disposizione significa, automaticamente, minori chance per le donne».
Una di loro tra l’altro, cinque anni fa non eletta ma riuscita poi a conquistare visibilitàfferente, è fuori dai giochi: Sandra Savino è in lista, blindata, direzione Parlamento. Nel 2008, a raccogliere un numero sufficiente di voti per entrare in Consiglio, sono state in tre: la pidiellina Alessia Rosolen (2.293 voti), la democratica Annamaria Menosso (2.052) e la leghista Mara Piccin (1.111). Tre su 59, appena il 5%. Delle uscenti ci riproveranno Rosolen, che nel frattempo ha lasciato il Pdl per Un’Altra Regione, e Piccin, mentre Menosso ha deciso di non ricandidarsi. «La presenze delle donne in lista è un dato di garanzia rispetto alla possibilità di correre – osserva Rosolen -, ma in un Paese in cui non esiste uno stato sociale la loro presenza in politica è effettivamente ridotta. Dopo di che, credo che sia perfino più difficile per i giovani trovare un posto in Consiglio». La consigliera di Uar, a proposito della presenza femminile nelle liste, richiama la legge regionale 17 del 2007 “Determinazione della forma di governo del Fvg e del sistema elettorale regionale”, lì dove, all’articolo 23, si dispone che «ogni lista circoscrizionale deve contenere non più del 60 per cento di candidati dello stesso genere». Vanno dunque inserite in lista non meno del 40 per cento di donne, con i nomi dei candidati da collocare alternati per genere fino all'esaurimento del genere meno rappresentato.
Le donne, in sostanza, ci sono. Ma poi vanno elette, ed è qui che solitamente viene il difficile. «Dipende dalle candidature», rimarca Galasso. Ma Moretton è ancora scettico: «Perché nasconderlo, per le donne è sempre più complicato». Tanto più che di posti garantiti dalla legge elettorale se ne trovano solo in giunta. All’articolo 15 della stessa legge 17/2007, si legge che «gli assessori regionali non possono appartenere allo stesso genere per più dei due terzi, arrotondati all'unità più vicina». In sostanza, in caso di assenza di elette, le donne comparirebbero solo come assessori nella prossima legislatura. E da esterne. Un massimo di due, visto il tetto fissato dalla giunta Tondo che ha di molto limitato il ricorso ai non eletti.
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