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Denuncia Equitalia per tassi da usura

Una ex agente immobiliare ha visto crescere a dismisura gli interessi su una cartella di 20mila euro che sta pagando a rate

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C’è chi a Bergamo entra nella sede di “Equitalia” con le armi in pugno e sequestra i presenti. C’è chi a Mestre blocca con mattoni e malta la porta d’ingresso di un’altra sede della stessa società impegnata a testa bassa a riscuotere i tributi degli italiani. E c’è chi per far valere i propri diritti che ritiene calpestati, ha denunciato “Equitalia” alla Procura della Repubblica di Trieste ipotizzando di essere costretto a pagare interessi usurari sulle somme pretese.

La denuncia-querela è stata presentata due giorni fa per conto di una cliente decisa a difendersi in tutte le sedi, dall’avvocato Walter Zidarich. Il legale ha allegato all’atto con cui chiede che un magistrato si occupi degli eventuali aspetti penali della vicenda, una analisi dettagliata sui tassi applicati di mese in mese da “Equitalia” sul debito della propria cliente.

L’analisi dei tassi applicati è stata affidata al ragionier Paolo Dressi, consulente del lavoro e dal suo elaborato, ora in mano alla magistratura, emergono sulle singole rate percentuali da brivido. Sono comprese, secondo lo studio, tra un minimo del 21 per cento e un massimo del 51.

Ma non basta. Nella denuncia per usura, l’avvocato Walter Zidarich sottolinea come «gli interessi anziché diminuire sono aumentati: il che è assurdo, in quanto le somme pagate ratealmente, secondo il Codice civile, devono essere imputate prima agli interessi e poi al capitale. Ci troviamo pertanto di fronte a una situazione nella quale Equitalia ha calcolato la maggiorazione dovuta per i propri interessi su altri interessi: in sintesi quelli già pretesi dall’Inps, imputando poi i pagamenti rateali effettuati dalla mia cliente ad un capitale calcolato artificiosamente, facendo così elevare l’importo di questi ultimi ad una percentuale del 38 per cento».

In altri termici nell’esposto viene riproposta l’antica questione degli interessi applicati su altri interessi. In termine tecnico i giuristi e i tecnici bancari la definiscono “anatocismo”. Un esempio pratico di applicazione di questa procedura è quello di capitalizzare - ossia sommare al capitale di debito residuo - gli interessi ad ogni scadenza di pagamento, anche se sono regolarmente pagati.

I guai della professionista che si è rivolta alla magistratura nascono da una antica malattia invalidante. La protagonista, suo malgrado, di questa vicenda, nel lontano 1993 aveva cessato l’attività di agente immobiliare e aveva presentato all’Inps la richiesta di cancellazione.

Nel 2001 le erano state notificate due cartelle di pagamento da parte dell’Uniriscossioni spa. Secondo l’Inps doveva pagare all’istituto di previdenza otto anni di contributi evasi per complessivi 25 mila euro. Gli anni considerati erano quelli compresi tra il 1993 e il 2001.

«Ma io in quel periodo non ho lavorato. Avevo cessato l’attività proprio nel 1993» aveva sostenuto la malcapitata nel ricorso presentato all’Inps a cui erano stati allegati i certificati della malattia invalidante. La sua istanza era stata accolta solo in parte e le era stato concesso uno sgravio parziale.

A questo punto era entrata in scena “Equitalia”, subentrata a “Uniriscossioni” e le aveva intimato di pagare 20 mila euro di cui 16 mila a titolo di capitale. Per evitare il sequestro dei propri beni la professionista aveva ottenuto di pagare a rate la somma pretesa. Ma dopo i primi versamenti si era accorta che gli interessi richiesti crescevano a dismisura. Da qui il ricorso alla magistratura.

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