Intascava i soldi degli altri agenti 40 poliziotti in aula contro il collega
Hanno deciso di costituirsi parte civile per essere risarciti nel processo a Samuele Zilani, accusato di avere bruciato nei casinò 92mila euro destinati al pagamento delle bollette dei telefonini

Una quarantina di poliziotti che lavorano in Questura hanno deciso di costituirsi parte civile nel processo che vede sul banco degli imputati il loro collega Samuele Zilani, già “uomo di punta” delle volanti. Zilani è accusato dal pm Lucia Baldovin di essersi intascato 92 mila euro destinati al pagamento delle bollette dei telefonini usati dagli agenti della Questura e mai versati alla Telecom. Durante l’interrogatorio al quale è stato sottoposto quasi due anni fa, Zilani ha ammesso l’addebito.
I quaranta poliziotti hanno atteso a lungo che il denaro versato fosse loro restituito dal collega; non hanno ottenuto un centesimo nonostante le promesse e gli impegni assunti dall’imputato. Così per tentare di essere risarciti si sono rivolti all’avvocato Aura Fonda che li rappresenterà in aula.
Martedì è infatti in calendario l’udienza preliminare dove Samuele Zilani dovrà affrontare anche le richieste di risarcimento del danno avanzate dal ministero degli Interni che si è costituito parte civile con l’avvocato dello Stato Marco Meloni.
Questa presenza in aula ha un preciso significato giuridico: per l’Avvocatura dello Stato a Samuele Zilani va contestato il reato di peculato, perché i telefonini di cui l’imputato non ha pagato il canone per quasi due anni erano collegati tra loro da un contratto aziendale, sottoscritto da un dirigente della Polizia di Stato che a sua volta aveva incaricato Zilani di raccogliere tra i colleghi il denaro destinato al pagamento delle bollette a tariffa agevolata.
Diversa la prospettazione della difesa. Non si tratta di peculato ma della meno grave appropriazione indebita. Parte lesa in questo caso non sarebbe più lo Stato, bensì i soli colleghi in divisa. Quello di Zilani, secondo la difesa, era un incarico volontario, senza coinvolgimento dell’amministrazione pubblica.
Se questa tesi fosse accolta, l’imputato potrebbe forse salvare il posto di lavoro e la divisa. Col peculato invece non avrebbe scampo. Subito dopo l’emersione dell’ingente ammanco l’agente era stato trasferito da Trieste a Padova per incompatibilità ambientale. Si era immediatamente ammalato e non risulta sia rientrato in servizio.
I 92 mila euro, secondo le indagini della Procura, sono stati “bruciati” sui tavoli verdi dei casinò sloveni e istriani nell’ambito di una “dipendenza” psicologica che lo ha completamente rovinato. L’ammanco è emerso perché , dopo una lunga serie di solleciti di pagamento rimasti inevasi, i funzionari della Telecom si erano rivolti al questore Giuseppe Padulano, inviandogli una lettera in cui lo informavano dei clamorosi ritardi nei pagamenti. L’inchiesta interna era stata affidata agli investigatori della Digos e Zilani era stato individuato in poche ore.
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