A piedi fino a Canfanaro e nella valle della Draga campi di zucche giganti
Continua il viaggio da Trieste a Promontore attraversando l’Istria da Nord a Sud tra campi di cocomeri e strade piene di camion

Cielo bigio, francese, le previsioni dicono pioggia ma nessuno ci crede. In Istria non piove da otto mesi. Filo presto da Surani, ancora sazio della cena che Dora mi ha cucinato la sera prima. Le migliori patate fritte della mia vita, giuro, centellinate con refosco e Luna piena. Ora, in assenza della “parona”, per far colazione mi tocca tornare a Tignan, due chilometri solo per un thè. Per strada, casette isolate con cani feroci ai cancelli. Mai capito perché i cani sono così fetenti coi pedoni. Vigliaccheria, credo.
Colazione in un bar sull'orlo del crepaccio, la valle della Draga è ancora piena di bruma. Chiedo consigli su come attraversarla a dei giovani, ma anche qui i giovani non sanno dove abitano. Per orientarsi ci vuole gente dai sessanta in su. Così vado alla cieca, so che qualcosa troverò. Scendo, due chilometri d'asfalto, e là dove la strada risale sull'altro versante ecco un sentiero di fondovalle.
Comincia una traversata di perfetta solitudine. Radure inselvatichite, coperte di ragnatele imperlate di rugiada. Brillano da lontano, come candelabri.
Vado con passo regolare. lungo i meandri del fiume che non c'è, fra scarpate coperte di boscaglia. Campi di granturco, zucche come quelle di Cenerentola. Praterie di menta, un odore che ubriaca.
Il sentiero zigzaga, si ramifica, entra in tunnel di sterpaglia e querceti. Mi sento nella parte più arcana del viaggio, qui, in immersione sotto la linea di galleggiamento dello zatterone istriano. Sulla destra, in alto, il campanile di Kringa, posto con fama di vampiri. La direzione è perfetta. Sud. In fondo non ho che la meta, Promontore. Poi il nulla.
In questo verdissimo cordone ombelicale sento il filo del viaggio che mi si srotola dietro la schiena. Ormai da Trieste saranno un centinaio di chilometri. Uno due, uno due, il metronomo va regolare. Ora incrocio un'altra strada, quella da Kringa a San Pietro in Selve, e subito, sul sentiero c'è un forte odore di selvatico, come di mufloni. Sento campanacci a distanza, poi mi si para davanti un cane pastore incazzatissimo. Un altro cane fetente che odia i pedoni, solo che tra me e lui stavolta non c'è nessun cancello.
Fermo lì, animale. Gli mostro il bastone con una mano e una pietra con l'altra. Ho sempre una pietra in tasca, pronta per questa evenienza. Poi gli ordino “Vieni qua” nascondendo la paura. In genere funziona. La bestiaccia si calma. Ma il difficile viene dopo: girarsi e allontanarsi con dignità, fingendo sicurezza.
Ci provo, guardando dietro con la coda dell'occhio. Il cagnaccio non si muove. Dopo cinquecento metri tiro il fiato sotto un grande tiglio e mi bevo una borraccia intera di succo di mela.
Dimenticavo, ho un'assistente che mi segue da lontano, efficiente come una torre di controllo. E' l'amica Ljiljana Avirovic, professoressa di lingue slave. che mi prenota dove dormire e mi tiene sempre sott'occhio sul suo schermo radar. Guai se non ci fosse lei, lasciarle la logistica del viaggio per me è un sollievo incomparabile. Non ho più l'età per arrivare stanco, a piedi, in un posto dove non c'è da dormire, e appena brancolare in cerca di un'altra soluzione.
Oggi la meta è Canfanaro, solo che ho calcolato male le distanze. Alle undici e mezza sono già a tre chilometri dal paese. Troppo presto. Decido per un'allungatoia, fino a Due Castelli, la rocca che chiude la Draga in direzione del canal di Leme. Nelle selve, intorno, chiesette dai nomi bizantini, Agata, Elia, Petronio. Il crepaccio gira verso Ovest, ora ho la mio ombra sulla destra. In alto, sul lato Nord, una fascia rocciosa simile a un canyon. Uno due, uno due, la macchina sembra inarrestabile.
Ma il sole picchia di nuovo, e in un campo di zucche incrocio un trattore con un anziano a bordo. Mi guarda a lungo, poi scandisce: “Ti ti va lontan”. Non una domanda, ma un'asserzione. Quasi un vaticinio. “Come l'ha capito?”, rispondo. Lui: “Perché ti va pian”. E' vero: il viandante non ha il passo del gitante. Passo la chiesetta di Santa Maria poi a Due Castelli trovo due giovanotti all'ingresso e stupidamente chiedo loro se tra quelle pietre c'è una konoba.
E' l'ora della birra, e loro mi leggono nel pensiero, me ne offrono una, stupendamente fresca, fuori da una borsa frigo. Si chiamano Dorijan e Luciano. Mi fanno sedere. Mi chiedono se ho degli sponsor, dico di no, che viaggio per piacere. Quando capiscono che sono giornalista, subito chiedono se conosco Saviano. Al mio sì, Dorijan sorride: “Mi non so se lui ga fato ben a dir quele robe. Gomorra xe forte, Gomorra xe par tuto. Gomora xe anche qua. Ghe tocherà scampar tuta la vita”.
Macché pioggia: tre chilometri d'asfalto infuocato fino al cimitero di Canfanaro, pieno di vecchie lapidi in italiano. Poi finalmente la konoba per la seconda birra. Konoba “Dvigrad”, in “Dvigradska unica”, e anche lì si parla di mafia. Tudjman, Milosevic, Berlusconi, tutti briganti. E la guerra dei Balcani è stata un imbroglio per derubare gli onesti. Più che rabbia, c'è amarezza. “A Canfanaro c'è depressione da vent'anni, si stava meglio prima”.
Credo di essere arrivato, e invece non sono arrivato per niente. La mia stanza è a Debeljuhi, a tre chilometri, e non me n'ero accorto. Tre chilometri a piedi, ovviamente nella direzione sbagliata – verso Gimino - e ovviamente lungo uno stradone per camion.
Tre chilometri che domani dovrò rifare al contrario. So già che sarà un posto senza taverne; così mi tocca prendere dello scatolame al market. Vertice dello squallore. Ma il viaggio è fatto anche di questo. Il mondo non è fatto per chi va a piedi.
Tre chilometri fra i camion, ma non li sento e non li vedo. Ho imparato a chiudere i boccaporti col mondo, quando serve. A Debeljuhi la signora Mirjana mi aspetta sullo stradone, mi fa accomodare sotto una pergola, poi Vinko il marito arriva con la terza birra a digiuno. Impossibile resistere. C'è già uno spiedo acceso e un bell'invito a cena. Sole aranciato tra le vigne.
Km 25, ore sette
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