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Uccide a coltellate la sua ex

Giulio Simsig, 47 anni, ha fatto irruzione nella villetta della donna. Poi si è costituito

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TRIESTE. È entrato nella villetta usando una scala a pioli per salire sul terrazzo del primo piano. In tasca Giulio Simsig, 47 anni, gruista alla Fincantieri di Monfalcone, aveva un coltello da marinaio con cui, dopo aver spezzato con un vaso da fiori il cristallo di una porta-finestra, si è avventato sulla convivente. Tiziana Rupena, cuoca e madre di due figli, agli occhi dell’uomo era “rea” di lesa maestà. Lo aveva lasciato dieci giorni fa dopo una convivenza durata sei anni e lui voleva vendicarsi.

L’ha colpita con rabbia al collo, al petto e al volto: due, tre, dieci volte. La lama ha reciso la carotide, la donna è morta dopo pochi secondi e il gruista è diventato un assassino. Ora Simsig è rinchiuso nel carcere del Coroneo con l’accusa di omicidio volontario aggravato. Si è consegnato ai carabinieri inebetito e sporco di sangue.

Tutto è accaduto ieri a Padriciano tra le 7.45 e le 8 del mattino nella villetta a due piani posta al numero 188 della stretta strada che lasciando sulla destra i campi di golf, lambisce l’area occupata dal Tennis Club e si addentra tra case e ville, fino a raggiungere il nucleo centrale dello storico abitato carsico. Lì, sull’altipiano nell’appartamento della mamma Adriana, si era rifugiata Tiziana Rupena. Lui alzava le mani, usciva con altre donne, era arrogante e determinato a far valere la propria supremazia.

L’ansia di vendicarsi per l’abbandono è cresciuta a dismisura giorno dopo giorno. Ieri la vendetta. Giulio Simsig ha lasciato l’abitazione di via Patrizio, una laterale di via Campanelle dove aveva vissuto con quella che considerava ancora la “sua donna”. È salito in sella al suo scooter “Piaggio X3”, completamente nero. Ha raggiunto l’altipiano e ha posteggiato il mezzo accanto all’ingresso di quello che di lì a poco sarebbe diventato il teatro del delitto. È entrato nel giardino tranquillamente perché il cancello in ferro era solo accostato. Ha visto sotto un albero di noce con i frutti gonfi la “Nissan Micra” di proprietà di Tiziana Rupena. Una conferma. “Lei è in casa”.

Il gruista ha percorso senza far rumore una ventina di metri, quelli che lo separavano dalla villetta e dal terrazzo. Ha appoggiato una scala a pioli alla sovrastante ringhiera, ed è salito per i gradini. Se qualcuno lo avesse visto, lo avrebbe scambiato per un ladro. Ma lui in tasca aveva il coltello ed era determinato a usarlo. Tra la stanza in cui dormiva Tiziana Rupena e il terrazzo su cui il gruista era salito, si è palesato un ostacolo inatteso. Una porta-finestra ben chiusa. Giulio Simsig non ha esitato: ha usato un vaso da fiori per mandare in mille pezzi il cristallo e aprirsi la strada verso il compimento della vendetta. Il rumore ha richiamato l’attenzione di Adriana Rupena, la mamma di Tiziana. È intervenuta, ha cercato di fermarlo. Lui l’ha allontanata con un paio di manate. Non era lei l’obbiettivo. Dalla sua stanza è emersa con una maglietta addosso la vittima designata.

Dei colpi di coltello abbiamo detto: hanno raggiunto il collo, il volto e il petto. Poi l’assassino è fuggito a bordo dello scooter. L’allarme lo hanno dato quasi contemporaneamente i parenti che abitano al secondo piano della stessa costruzione ma anche la mamma che aveva visto appena uccidere sua figlia. La corsa dell’ambulanza del “118” è stata vana. Lei era già morta. I carabinieri della Compagnia di Aurisina qualche minuto dopo si sono trovati di fronte all’assassino. Giulio Simsig li attendeva accanto al portone di ingresso. La sua fuga era stata brevissima, poi il gruista era ritornato sui propri passi, posteggiando lo scooter nello stesso punto in cui lo aveva lasciato poco prima delle 8. L’hanno portato via subito, l’hanno interrogato nella caserma di Aurisina per quattro ore. Poi in carcere al Coroneo in attesa della convalida dell’arresto.

«Confermo che lei lo aveva lasciato una decina di giorni fa e che il delitto dovrebbe trovare la sua spiegazione nella rottura del rapporto» ha affermato il pm Cristina Bacer che dirige l’inchiesta. Ha visitato l’abitazione, ha rincuorato i parenti, ha ascoltato i testimoni e gli investigatori. Poi il magistrato inquirente ha confermato che la mamma ha assistito all’omicidio della figlia senza poter far nulla. «La signora è sotto choc: va lasciata in pace. In questo momento è ancora all’interno della villetta». Nella stessa villetta dalle 8 alle 12.30 hanno lavorato i carabinieri del Nucleo operativo di via dell’Istria e quelli della Compagnia di Aurisina. Tute bianche, cappuccio guanti, scarpe inserite in ghette che coprivano la suola. Tutto per non sovrapporre “segni” a quelli lasciati dall’assassino e non inquinare il “teatro” dell’omicidio per evitare sempre probabili contestazioni durante il processo. Ma ieri a Padriciano, la violenza, il sangue e il dolore, sparsi a piene mani, non nascondono seconde e terze verità. Le coltellate parlano da sole, così come la finestra infranta, la scaletta, la mamma allontana a manate e spintoni per poter uccidere la figlia.

I militari hanno ricuperato il coltello da marinaio, hanno fotografato le stanze dell’aggressione, la scaletta, il vetro infranto. Dettagli su dettagli. Altri li ha raccolti il medico legale Fulvio Costantinides e altri ne emergeranno dall’inevitabile autopsia.

Poco dopo mezzogiorno, quando tutti i rilievi di legge erano conclusi, è arrivato a Padriciano il furgone scuro delle pompe funebri. Ne sono scesi tre uomini vestiti di nero. Una barella ha compiuto un doppio percorso: vuota dal furgone alla casa, con un drappo grigio sul corpo della donna, quello opposto.

Accanto, sulla stessa stradina, ciclisti e jogger avevano proseguito la loro attività fisica. Solo un paio di vetture si erano fermate e gli occupanti avevano chiesto informazioni. «Cos’è successo, perché tanti carabinieri?» Poi appresa la verita una signora ha esclamato: «Che estate nera con tanti morti, cosa ci sta accadendo...»

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