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Carceri, detenuto si dà fuoco alle braccia

Un pakistano ha compiuto un gesto di autolesionismo dandosi fuoco alle braccia, in una cella del carcere del Coroneo. Il fatto è avvenuto nella notte tra giovedì e venerdì scorso. Soccorso dai compagni di cella e dal personale di sorveglianza, il cittadino pakistano è stato ricoverato in infermeria, medicato e visitato da uno psicologo

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TRIESTE. Ha festeggiato il Natale con le braccia ustionate, fasciate dalle bende. Ventiquattro ore prima aveva spogliato il letto delle lenzuola, preso un accendino e si era dato fuoco, dopo essersi appartato nell’area del servizio igienico della sua cella.

Qualcosa nella mente di Mohammed B., pachistano di 41 anni detenuto nel carcere del Coroneo, è entrato in corto circuito. La lontananza dal suo paese d’origine, dalla sua famiglia, dalla sua attività commerciale, alimentata dal senso di impotenza verso un sistema giuridico a lui alieno, hanno esasperato un malessere che da giorni covava. Un disagio resosi già evidente nella dipendenza da alcol sofferta dall’uomo, di fede musulmana ma non praticante, che all’improvviso è esploso con la rabbia della disperazione.

Verso le 2 della notte a cavallo tra giovedì e venerdì Mohammed B., residente a Padova, sposato con figli, si è rifugiato nella zona più riservata della cella e si è dato fuoco. Solo la prontezza dei suoi compagni di cella, intervenuti subito per bloccarlo e spegnere le fiamme che frattanto lo avevano avvolto, ha scongiurato il peggio. Allertata dalle grida, una giovane guardia carceraria si è precipitata con altri due uomini della polizia penitenziaria nella stanza e ha prestato un primo soccorso assieme al medico di guardia. Il pachistano, che già nei giorni precedenti aveva dato segnali di instabilità, è stato portato all’infermeria, dove non gli sono stati riscontrati sintomi di intossicazione e dove gli operatori hanno quindi provveduto a trattare gli arti bruciati con pomate e farmaci antidolorifici. Qualche ora dopo l’uomo è stato visitato dallo psicologo in servizio al Coroneo ed è apparso, nonostante tutto, in buone condizioni.

Quelli delle feste natalizie del resto sono giorni particolarmente penosi, in carcere, dove ora si teme il rischio-emulazione. Le condizioni dei detenuti appaiono difficili in una struttura in cui dovrebbero essere accolti al massimo 150 carcerati e invece ve ne sono fino a 250, dove il personale penitenziario risulta sottodimensionato e si rilevano fisiologici problemi di tensione sociale legati alla coesistenza di diverse nazionalità ed etnie.

«La condotta messa in atto dal detenuto - spiega Enrico Sbriglia, direttore del penitenziario cittadino – è risultata più strumentale che effettivamente tesa a intenti suicidari. Quando un soggetto vuole realmente farla finita, solo un evento fortuito può scongiurare un esito fatale. La persona in questione si trova in una situazione giuridica complessa, che non riesce a decifrare perché non comprende il nostro sistema: sta scontando una condanna definitiva ed è in attesa di giudizio per un altro capo di imputazione. Si sente innocente e, pur essendo uno straniero regolarizzato che nella sua città di residenza, Padova, detiene anche un’attività economica, soffre la lontananza dal paese d’origine, dove certe condotte risultano giustificabili mentre in Italia assumono contorni penalmente rilevanti».

A quanto pare l'uomo sconterebbe pene riconducibili al reato di maltrattamenti familiari, ma si ritiene ingiustamente detenuto in quanto responsabile di azioni ai suoi occhi legittime e in linea con i dettami musulmani. «In carcere – conclude Sbriglia, che ha trascorso la vigilia assieme ai detenuti – si acutizzano problematiche non solo sociali ma anche culturali e religiose. Pensare che certi problemi si possano risolvere qui dentro è impossibile».
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