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Fincantieri, da Trieste la Fiom lancia la sfida

Duemila i partecipanti, ma per la questura solo la metà. La Uilm attacca: "È stato un fallimento"

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TRIESTE. «Ci hanno dipinto come un gruppo di facinorosi, pericolosi e irresponsabili. L’hanno fatto nella speranza di togliere credibilità alle nostre critiche sull’integrativo e ridurci al silenzio. Ma il loro piano è fallito e continuerà a fallire, perchè da qui, da Trieste, prenderà il via una nuova stagione di battaglie». Parola del popolo Fiom che ieri, nella città che ospita la sede di Fincantieri, ha messo in scena una protesta vibrante, sentita e, a dispetto delle tante Cassandre, senza disordini o scontri. Una protesta che, però, bloccando la circolazione nel tratto tra piazza Libertà e piazza Tommaseo, ha di fatto paralizzato il traffico cittadino e costretto decine di automobilisti a snervanti attese e altrettanto lunghe deviazioni.

LA GUERRA DELLE CIFRE Inevitabili, visti anche i tanti riflettori accessi sulla manifestazione, i balletti delle cifre e i distinguo sulla riuscita o meno dell’evento. I vertici della Fiom- Cgil parlano di oltre 2 mila partecipanti al corteo (1100 secondo la questura), e di un’adesione allo sciopero nazionale superiore al 90%, mentre per Mario Ghini, segretario nazionale della Uilm, «la mobilitazione ha coinvolto appena il 35% delle maestranze e si è rivelata un fallimento». Giudizio quest’ultimo in linea con quello espresso dall’azienda: «La scarsissima adesione si commenta da sola. I dipendenti Fincantieri scesi in strada a Trieste sono stati meno di 400 e alla cifra fornita dalla questura si è arrivati solo grazie alla presenza di lavoratori di altre ditte (dalla System sensor alla Safilo ndr). Pensiamo quindi di poter affermare - sottolinea ancora il gruppo di Bono - che la partecipazione è stata molto inferiore alle attese della Fiom».

UNA MANIFESTAZIONE PACIFICA
Su un punto, però, tutte le voci hanno dovuto convenire: il corteo si è svolto pacificamente e, se si escludono il lancio di un petardo e l’accensione di un paio di fumogeni, senza alcun tipo di provocazione. Nessuno dei metalmeccanici arrivati a Trieste da mezza Italia, nemmeno i vulcanici operai dello stabilimento di Castellammare di Stabia - considerati «teste calde» e guardati a vista dall’imponente apparato di sicurezza composto da polizia, finanza e carabinieri in tenuta anti-sommossa -, è caduto nella trappola della tensione alimentata da certe dichiarazioni della vigilia. E anche la tentazione di scavalcare le transenne poste a protezione del quartier generale dell’azienda, è stata lasciata cadere.

IL SERVIZIO D’ORDINE Merito, va detto, anche di un attento servizio d’ordine interno, affidato ad alcuni iscritti con t-shirt rossa e scritta nera sul fianco, incaricati di calmare gli spiriti più accesi. Sono stati loro a far ripartire il serpentone e a disperdere alcuni gruppetti particolarmente agguerriti quando, sotto le finestre del quartier generale di via Genova, sono partiti incitamenti a «portare la lotta dentro al palazzo del potere, dove siedono dirigenti che si sono regalati aumenti di 18 mila mentre ai lavoratori pretendono di imporre premi di produzione da elemosina». Appelli che alla fine, appunto, sono caduti nel vuoto e hanno prodotto soltanto fischi e slogan (da «vergogna, vergogna» a «coniglio alza la voce») rivolti verso gli uffici Fincantieri, e l’accensione di un fumogeno rosso davanti al balcone in cui sventolava il simbolo del gruppo.

POLIZIA: NESSUN INTERVENTO Nulla insomma che abbia richiesto l’intervento dei trenta militari in tenuta antisommossa schierati a difesa dell’edificio di via Genova. Una presenza, la loro, ampiamente contestata dai vertici del sindacato. «È stata una pura dimostrazione muscolare che, peraltro, rischiava di essere anche controproducente - ha commentato il segretario regionale della Cgil Franco Belci -. Tecnicamente infatti, in caso di scontri, quel tipo di schieramento si sarebbe rivelato del tutto inadeguato. Ma non ce n’è stato comunque bisogno visto che il sindacato ha dato prova di come, anche in un momento di aspra conflittualità, la protesta possa essere gestita con senso di responsabilità». «I metalmeccanini hanno fatto sentire forte e chiara la loro voce scrollandosi di dosso l’etichetta di soggetti pericolosi - hanno sottolineato durante il comizio finale in piazza della Borsa gli esponenti Fiom, introdotti dal triestino Antonio Saulle -. La campagna allarmistica dell’amministratore delegato Bono e le voci messe in giro ad arte da più parti (voci secondo le quali tra i manifestanti si sarebbero infiltrati dei disobbedienti del Veneto ndr) - insomma, si sono rivelate del tutto infondate».

TRIESTE PARALIZZATA A verificarsi puntualmente, invece, sono state le previsioni di chi ipotizzava una giornata di fuoco sul fronte della viabilità. La partenza del corteo da piazza Libertà ha costretto infatti a chiudere fin dal primo mattino l’accesso alla città da viale Miramare. Le auto dirette verso il centro sono state così deviate verso via Udine, con inevitabili ingorghi già all’altezza di largo Roiano. Nel senso opposto, il blocco è scattato all’altezza di piazza Dalmazia e tutti i veicoli diretti verso le Rive o la Costiera sono state fatte salire nella stretta via Martiri della Libertà. Risultato, auto in coda non solo in via Carducci, ma in Barriera e, addirittura viale d’Annunzio.
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