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Da Lubiana il mio sguardo obliquo verso Trieste, la Bella Addormentata con un’anima trilingue

A inizio XX secolo, l’unico centro in cui i tre maggiori gruppi etnici europei gareggiavano in cultura alla pari

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TRIESTE Trieste è una città scorbutica, una città che accoglie chi parla in italiano ‘stampatello’ rispondendo in dialetto (… se nol capissi, cossa posso far, che el impari…), ma è anche una città che non lascia andare facilmente i suoi figli e figlie, una città collosa. Il mio rapporto con Trieste è caratterizzato da una profonda dicotomia: da una parte un intimo amore per la città, che mi ha plasmato e dall’altra una fortissima necessità centrifuga che si è realizzata in parte con gli anni passati a Roma, a Radio Tre, e a Lubiana al Program Ars (l’equivalente della Radiotelevisione slovena di Radio Tre). Una fuga che per diversi anni ho attuato con successo, ma che poi si è conclusa 11 anni fa con il definitivo trasferimento lavorativo a Koper-Capodistria, alla sede regionale della Radiotelevisione nazionale slovena, dove curo e conduco una trasmissione televisiva dedicata all’editoria dal titolo Quarta di copertina e una trasmissione radiofonica Sonoramente classici, in cui di domenica mattina dedico mezz’ora alla musica colta. E quest’ultimo trasferimento mi ha fatto scoprire Trieste ancora da un altro punto di vista, dall’altra parte di quel confine di stato che nel 1954 si è impresso a fuoco sulla pelle delle famiglie di qua e di là.

Frequentare le scuole statali di lingua slovena, scelta allora controcorrente fatta dai miei genitori, mi ha dato una visione obliqua della città che negli anni della mia infanzia e giovinezza mal sopportava chi parlava una lingua diversa dall’italiano. Ma contemporaneamente questa frequentazione e il dottorato all’Università di Lubiana mi hanno dischiuso la comprensione di un mondo slavofono che altrimenti mi sarebbe rimasto sconosciuto, celato. Da Roma, prima, e da Lubiana, poi, ho rivolto il mio sguardo verso la bella addormentata sull’Adriatico, scoprendo che Trieste all’inizio del XX secolo era l’unica città, in cui i tre maggiori gruppi etnici europei, che nella città di S. Giusto erano tutti e tre autoctoni, potevano gareggiare in campo culturale da pari.
Malgrado i tentativi di completa italianizzazione civile e sociale, Trieste ha mantenuto la sua profonda anima trilingue (anche se la parte germanofona per ovvi motivi storici è diventata sempre più debole) e ciò ammanta la città di un fascino particolare che viene percepito soprattutto da chi la guarda dal di fuori. Quest’anima tripartita io – che sono nata da un padre cantierino di famiglia muggesana e da una mamma istriana, oggi si direbbe immigrata - l’ho scoperta attraverso la musica che innerva profondamente tutto il mio essere. La musica mi ha permesso di disvelare le mie diverse dimensioni, dalla creativa con la composizione alla performativa con il gruppo barocco ReSonare Consort per arrivare alle ricerche sulla storia della musica locale. Si tratta di studi ormai più che ventennali che hanno portato a diversi saggi e libri, in cui le tre componenti etniche sono trattate come equivalenti, pubblicati in lingue diverse, dallo sloveno, all’italiano, dall’inglese al tedesco.
La mia Trieste non è solo il centro urbano, ne fanno parte integrante anche il Carso e il Breg (nome con cui si indica la parte della Val Rosandra) con gli abitanti che parlano lo sloveno e che per lavoro gravitano verso il centro. Una terra dura che ha forgiato persone poco espansive, ruvide ad un primo approccio, ma che diventano estremamente generose, quando si riesce a oltrepassare l’esterno della loro scorza dura.
Come canta la più famosa barcarola triestina “Trieste dormi, el mar se movi apena…”, la Trieste di oggi è una bella addormentata che si spera possa trovare la sua “sirena” nel Porto per risvegliarsi e riprendere ad avere l’élan dell’emporio di imperiale memoria e per fungere da volano di sviluppo di tutti i territori circostanti. Culturalmente vivace e multietnica, questa è la Trieste che vorrei! —
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