Passarono per Trieste i bambini accolti a Villa Emma di Nonantola
“40 cappotti e un bottone” di Ivan Sciapeconi (Piemme) ripercorre la vicenda dei minori in fuga da Germania, Jugoslavia Ungheria e riparati nel Modenese
Donatella Tretjak
Una vicenda unica. Commovente. Straordinaria. Soprattutto, vera. Meravigliosamente vera. Un raggio di sole che ha illuminato e continua a illuminare la storia di un piccolo comune della Bassa Emiliana, Nonantola. Un paese alla cui stazione un giorno, in piena Seconda guerra mondiale, arrivano – ennesima tappa di un viaggio che li doveva portare in Terra d’Israele - quaranta bambini ebrei provenienti dal Centro Europa e dalla Jugoslavia.
Per rievocarla, è uscito da pochi giorni “40 cappotti e un bottone” (Piemme, 208 pagg., euro 17.50), lavoro firmato da un insegnante di Modena, Ivan Sciapeconi, che fino a oggi aveva pubblicato solo libri per bambini e che ora ha dato veste di romanzo a questa pagina di storia, con una scrittura coinvolgente e intrigante, omaggio sincero a quei piccoli protagonisti, ai loro accompagnatori e, soprattutto, alla Nonantola che accolse i bimbi, con in prima fila il parroco don Arrigo Beccari e il medico condotto Giuseppe Moreali, dal 1963 insigniti a Gerusalemme della medaglia dei Giusti tra le Nazioni.
Tutto inizia nell’estate 1942 quando nella Bassa Modenese spuntano quaranta ragazzi e bambini ebrei: il più piccolo ha appena sei anni. Sono scappati dalla Germania nazista (ma anche dall’Ungheria e dalla Jugoslavia) grazie a uno dei treni che in quegli anni drammatici venivano rocambolescamente organizzati per cercare di portare in salvo quanti più piccoli ebrei possibili. Il sogno è arrivare in Turchia e quindi in Palestina ma, dopo soste forzate in Croazia e in Slovenia, il loro treno ottiene un permesso per entrare in Italia attraverso Trieste e giungere appunto a Nonantola, dove i piccoli vengono ospitati a Villa Emma.
Sin da subito la comunità si stringe con affetto attorno a questi piccoli fuggiaschi e ai loro accompagnatori. I contadini assicurano il cibo, i falegnami costruiscono i letti che sostituiranno i primi pagliericci. A Villa Emma non ci sono stelle gialle da appuntare al cappotto, né ghetti, né retate. Ma all’indomani dell’8 settembre tutto viene sconvolto, anche a Nonantola arrivano i soldati tedeschi. È così che l’intero paese si mobilita per far scomparire i bambini da Villa Emma, per fornire loro documenti “puliti”, per assicurare vestiti nuovi. “E poi c’è chi semplicemente sa e resta in silenzio e chi aiuta chi aiuta”. Per i piccoli fuggiaschi – accompagnati nemmeno più dal ricordo, ma dal ricordo del ricordo di ciò che erano le loro vite prima dei rastrellamenti delle “camicie scure” – l’affetto di chi tutto offre sapendo che nulla avrebbe avuto in cambio. Perché? “Perché ci siamo conosciuti. Non c’entra essere ebrei o non essere ebrei. Conoscere, conoscersi, salvarsi. Voi, noi, tutti assieme”.
Oggi, Villa Emma è anche una Fondazione che cura la memoria di quella straordinaria vicenda: due anni fa ospitò il presidente del Parlamento europeo David Sassoli, che è stato un gran sostenitore del “Luogo per la memoria Davanti a Villa Emma”. L’autore del libro, Ivan Sciapeconi, l’aveva scoperta proprio così, entrando a far parte quasi per caso del consiglio d’amministrazione della Fondazione. E oggi scrive nella postfazione: “Ho conosciuto molti bambini in fuga. Bambini arrivati con i barconi o rifugiati in case famiglia. Quando ho incontrato per la prima volta le vicende di Villa Emma ho pensato che ogni ragazzo, ogni ragazza in fuga meriti un paese come Nonantola”. —
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