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Ecco finalmente in sala l’attesissimo “Freaks Out” di Gabriele Mainetti, frutto di lunghissima lavorazione, un oggetto assolutamente unico nel panorama italiano. È il primo vero grande film di supereroi nazionale, pensato con ambizioni e budget altissimi per gli standard delle nostre produzioni (è costato più di 12 milioni di euro) e con l’idea di trasportare le dinamiche tipiche dei cine-comics in un contesto molto italiano, quello della Roma occupata dai tedeschi nel 1943. Se non fossero “mostri” con poteri soprannaturali, i nostri eroi potrebbero essere usciti da un film neorealista: l’uomo lupo Fulvio (Claudio Santamaria), Cencio che comanda gli insetti (Pietro Castellitto), Mario che attira i metalli (Giancarlo Martini) e la “donna elettrica” Matilde (Aurora Giovinazzo) sono un gruppo di circensi scalcagnati, marginali perché poveri, ma soprattutto perché diversi. Quando i nazisti catturano il loro direttore (Giorgio Tirabassi) Matilde decide di cercarlo, gli altri di unirsi al circo del nazista Franz che, però, vuole sfruttarne i poteri per rovesciare le sorti della guerra. Starà a loro, considerati da tutti come “fenomeni da baraccone”, cominciare a credere davvero che essere speciali non è un problema, ma un dono. Mainetti aveva già associato l’epica supereroica al realismo romano in “Lo chiamavano Jeeg Robot”, un primo tentativo folgorante per creatività e schiettezza. Qui il suo “elogio della diversità”, pensato per i ragazzi ma anche per gli adulti, fa un passo in più verso lo spettacolo puro, i grandi combattimenti, la magia degli effetti speciali, da godere assolutamente al cinema. Forse “Freaks Out” ha dentro troppo: la grande Storia, gli archetipi del genere, i debiti a Tod Browning e a “La donna scimmia” di Ferreri. Non si tratta di un difetto, bensì di un pregio: un meraviglioso azzardo, divertente e poetico, che finalmente porta aria nuova al cinema italiano. —

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