Addio Hirschman, poeta rivoluzionario Lesse le sue poesie a Ponziana nel 2019
Elisa Grando
Jack Hirschman, morto ieri nella sua casa di San Francisco a 87 anni, era stato a Trieste l’ultima volta appena due anni fa, nel settembre 2019, per leggere le sue poesie alla Casa del Popolo di Ponziana. Il poeta statunitense amava fare lunghi tour in Italia e spessissimo, a dare la voce italiana ai suoi componimenti, era l’attore triestino Lorenzo Acquaviva, da sempre appassionato della Beat Generation. «Fra noi c’è stata una lunga amicizia», racconta commosso Acquaviva. «L’ho conosciuto proprio a Trieste, vent’anni fa. Aveva fatto una lettura del suo libro “Soglia infinita”, io leggevo le poesie in italiano. C’era anche sua moglie Agneta Falk. Poi andammo a cena e fu una folgorazione. Lui aveva un modo particolare di recitare le sue poesie, quasi le cantava: era una grande responsabilità restituire in italiano quella forza. L’ultima volta qui, nel 2019, l’ho visto invecchiato, col bastone, ma nonostante il tempo passasse il suo spirito era sempre straordinario. Era un eterno ragazzo, aveva una grande ironia, patrimonio delle persone intelligenti. Raramente l’ho visto triste».
Sono tanti i ricordi che legano l’attore triestino al poeta, anche nel mitico Caffè Trieste di Gianni Giotta a San Francisco: «È stato proprio lui a invitarmi lì, e poi a presentarmi Lawrence Ferlinghetti. Anche Hirschman era accreditato come poeta Beat ma ha sempre rifiutato questa etichetta. Si definiva un poeta politico, voleva fare della poesia un mezzo di cambiamento. Ed era legato al comunismo. Negli anni ’60 è stato professore di letteratura alla Ucla, fra i suoi studenti c’è stato anche Jim Morrison, ma poi è stato espulso dall’Università per le sue idee. Aveva cominciato a dare voti politici ai ragazzi per non farli partire per il Vietnam. Quando fu cacciato, iniziò una vita travagliatissima». Ma proprio al Caffè Trieste Hirschman aveva trovato una sorta di seconda casa. Lì lavorava anche la sorella del fondatore, Iolanda Bodi, considerata dai clienti la “mamma” del Caffè Trieste, dietro il bancone per quasi 30 anni di servizio. «Dopo la pensione Iolanda era tornata dagli Stati Uniti e si era trasferita a Monfalcone, poi è morta qualche anno fa», racconta Acquaviva. «Hirschman ha scritto una poesia su di lei perché, nel suo periodo di fame più nera, sapeva che poteva andare al Caffè Trieste e c’era Iolanda che gli dava sempre un cappuccino e uno “sweet roll”».
Hirschman, insomma, poteva avere una vita comoda e invece ha pagato in prima persona per le sue idee. «Come Ferlinghetti, era un vero eroe della controcultura. A San Francisco, con lui, ho incontrato un mondo perduto, quello del quartiere di North Beach dove si era trasferita da New York la Beat Generation. Aveva una relazione controversa con l’America, mentre in Italia si sentiva a casa. Sentiva che qui c’era un modo di vivere ancora basato sulle relazioni umane. E parlava anche abbastanza bene l’italiano, era legato alla Casa della Poesia di Salerno con Raffaella Marzano, la sua traduttrice italiana. Fra noi c’è stata un’amicizia vera: ho sempre ammirato la sua tenacia, mi ha insegnato ad avere il sorriso anche nei confronti delle avversità». —
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