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«Per i Modena City Ramblers il viaggio non è mai stato fine a se stesso. Rappresenta un momento importante dal punto di vista artistico e sociale. Come dice il titolo del nostro primo album, che abbiamo tradotto da un disco di Bob Dylan, “Riportando tutto a casa”, il viaggio non è il fine ma il mezzo perché la testa si apra totalmente lasciando entrare esperienze, visioni, rumori, suoni, profumi che poi diventano canzoni. Tutto quello che ho visto e sentito in questi anni è ancora vivo nella mente, nel cuore, nella pancia».

Dopo trent’anni di canzoni e avventure insieme, Franco D’Aniello, flautista e cofondatore dei MCR, racconta per la prima volta la loro storia con “E alla meta arriviamo cantando – Le storie, i viaggi, la musica dei Modena City Ramblers” (La nave di Teseo, pagg 272, 18 euro).

I Ramblers, che saranno in concerto all’Arena Alpe Adria di Lignano il 7 agosto, sono profondamente legati alle loro origini: «Noi, che eravamo emiliani, cresciuti nella rossa opulenta Emilia, che provavamo a fare un po’ i ribelli, un po’ gli irlandesi, ma che poi la domenica non rinunciamo ai tortellini, perché non sia mai che la rivoluzione la facciamo a pancia vuota».

Ma dall’Emilia si sono mossi alla conquista del mondo: hanno suonato a Plaza de la Revolución all’Avana e nel deserto del Sahara, hanno portato la loro musica tra i dimenticati del pianeta e fatto ballare migliaia di persone nelle piazze d’Italia, hanno collaborato, tra gli altri, con Luis Sepúlveda, Bob Geldof, Francesco Guccini, Goran Bregovic, Paolo Rossi. A D’Aniello, che ha anche interpretato un soldato nordista flautista nel film “Gangs of New York” di Martin Scorsese, per il quale ha eseguito due brani della colonna sonora e nel 2019 ha coronato un sogno suonando con i Jethro Tull, il compito di ricostruire la lunga storia della celebre band combat folk: «Sono trent’anni – scrive – che vado in giro per l’Italia e il resto del mondo a suonare con i Modena City Ramblers. Centinaia di palchi, milioni di chilometri in macchina, un’ernia al disco, migliaia e migliaia di persone conosciute, di strette di mano, qualche birra ogni tanto, e musica, tanta. L’idea di mettere in parole scritte tutte le emozioni, o se non tutte molte di esse, non è per vanità o voglia di mettermi alla prova con qualcos’altro che non sia la musica. Credo che sia bello, o almeno così spero fortemente, pensare che tanti nostri fan, tanti amici che ci hanno seguiti in tanti anni possano condividere con me questi miei pensieri. Un po’ il dietro le quinte di una canzone, di un disco, del viaggio che magari ha proprio ispirato quella canzone».

La marea umana che al primo maggio in Piazza San Giovanni a Roma balla e canta alla personale versione di “Bella Ciao” dei Modena, intesa come un inno alla libertà da ogni forma di oppressione, è forse una delle immagini che tutti hanno in mente in relazione al gruppo. Sarà invece una scoperta per i lettori addentrarsi nei retroscena degli avventurosi concerti a Cuba, in Bolivia al trentennale della morte del Che, in Chiapas, in Guatemala, in Messico, in Romania, a Mosca, nel campo profughi di Smara, al National Theatre di Gerusalemme, nel carcere di Rebibbia, in Sudafrica. —

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