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Ceramiche, abiti e bozzetti Le arti triestine di Leonor Fini

Apre oggi alle 21 al Magazzino 26 del Porto Vecchio l’esposizione dedicata alle opere di design della pittrice. Con uno sguardo ai suoi abiti e oggetti

Corrado Premuda
2 minuti di lettura



Un servizio di piatti, un vassoio, tutto il necessario per il caffè, dalle tazze alla zuccheriera: oggetti realizzati dalla Società Ceramica Italiana di Varese nel 1951 con disegni che riproducono affascinanti personaggi mascherati arricchiti con dettagli che richiamano le piume variopinte di uccelli esotici e il pelo inconfondibile di un gatto. Sono le decalcomanie opera di Leonor Fini che l’importante azienda lombarda, attiva fin dall’Ottocento e poi fusasi con la ditta Richard Ginory, utilizzò per commercializzare terraglie che riscossero grande successo a metà del secolo scorso. Questi oggetti, oggi fuori mercato, costituiscono uno dei pezzi forti della mostra “Leonor Fini – Memorie triestine” che inaugura stasera alle 21 al Magazzino 26 del Porto Vecchio e che resterà visitabile fino al 22 agosto.

L’aggancio dell’artista con la Società Ceramica Italiana avvenne per tramite del direttore, un altro triestino, Guido Andloviz, designer, architetto e ceramista, allievo di Gio Ponti ed esponente di spicco a livello europeo. Leonor Fini aveva fin da subito affiancato alla pittura un’intensa attività da designer, forse meno nota al grande pubblico. Suoi alcuni mobili surrealisti ideati per Leo Castelli nei primi anni Trenta quando entrambi lasciarono Trieste per trasferirsi a Parigi, suo il celebre flacone di profumo a forma di busto di donna per “Shocking” di Elsa Schiaparelli, suo il logo delle scarpe da donna chiamate “Ballerine” e quello di numerose bottiglie di vini italiani e francesi.

In Porto Vecchio, nella mostra curata da Marianna Accerboni, insieme alle trenta porcellane vengono esposti anche i fogli di lavoro della fabbrica lombarda con i bozzetti originali di Leonor Fini e un’incisione.

L’esposizione vuole concentrarsi sul legame tra l’artista e Trieste e nella grande sala propone oggetti appartenuti a Leonor, come il San Giusto d’oro ricevuto nel 1969, prima donna ad essere insignita del riconoscimento, e numerosi abiti che raccontano il suo attento e sofisticato gusto per la moda. Dal guardaroba della pittrice ecco uscire una cappa grigia contornata di volpe, un completo da sera in paillettes, due scialli neri del primo Novecento con fili di seta, cappelli estrosi e uno scialle di jersey con ricami a perline. Buona parte del materiale arriva da collezioni private cittadine e in particolare dalla corrispondenza tra l’artista e Giorgio Cociani, fondatore del Gattile di Trieste, a cui Leonor mandava gli aggiornamenti sulla salute dei propri mici oltre a divertenti disegni sempre sull’amato soggetto felino. Ma tra gli affetti triestini spunta anche Mary Frausin, cugina della madre Malvina, le cui figlie ricordano la figura, legatissima a Leonor. In una serie di lettere ritrovate di recente da Simone Volpato l’artista, rivolgendosi da Parigi all’amico avvocato Nino Pontini, lo prega di non fornire il suo numero di telefono a nessun triestino, ad eccezione proprio di Mary.

Il legame con la città d’origine viene ricostruito dal rapporto di amicizia e stima con Arturo Nathan e Gillo Dorfles, di cui sono esposte delle opere: un’analisi grafologica della scrittura dei tre artisti fornisce un approfondimento sul loro carattere e sulle loro sensibilità. Non manca un altro aspetto importante di Leonor Fini, quello di illustratrice di libri, e i volumi presenti nell’esposizione, alcuni rari e preziosi, confermano lo straordinario talento dell’artista nei lavori a inchiostro.

La mostra però non si ferma all’aspetto visivo e punta su un’immersione totale nell’universo della pittrice, un viaggio che tocca la musica e l’olfatto.

Per l’occasione il compositore italo-brasiliano Paolo Troni ha creato due arie di ispirazione surrealista che vengono proposte nel percorso espositivo nell’esecuzione di Sara Zoto alla viola e sono stati ideati anche due profumi, uno femminile chiamato “Lolò” con note di cannella, zenzero e vaniglia, dai riflessi mitteleuropei, e un altro dolcemente maschile chiamato “Kot” che significa gatto. La mostra, organizzata dall’associazione Foemina in collaborazione col Comune di Trieste, proporrà una serie di eventi di approfondimento su vari aspetti legati al mondo sfaccettato e inesauribile di Leonor Fini. —

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