In evidenza
Sezioni
Magazine
Annunci
Quotidiani GNN
Comuni
piccolo libri

Da Trieste al Texas: Antonio Snider Pellegrini fu il primo uomo che intuì la deriva dei continenti

Commerciante, scienziato, avventuriero: una vita sbrindellata sempre in odio all’Austria

Riccardo Cepach
3 minuti di lettura

TRIESTE «Scienziato americano», «cartografo italiano», «geografo francese», «naturalista italo-americano», «abate italiano» e infine anche uno sconcertante «geologo creazionista»: chi cerca oggi in rete tracce del signor Antonio Snider Pellegrini trova tutte queste e altre definizioni che sollevano una cortina fumogena di fronte a questo interessantissimo, sfuggente personaggio. Il quale - cominciamo a mettere qualche punto fermo - prima di ogni cosa è un mercante, nato nel 1802 nella Trieste austriaca. Inizia da apprendista presso il celebre commerciante Giuseppe Labrosse – pseudonimo del conte di Pontgibaud, nobile francese sfuggito alle “purghe” rivoluzionarie – e nel 1831 lo troviamo fra i fondatori delle Assicurazioni Generali.

All'inizio degli anni Trenta dell'Ottocento, infatti, è un uomo d'affari di grande successo, che abita un lussuoso appartamento con magazzino dentro palazzo Carciotti ed è via via fornitore di olio per l'illuminazione pubblica, impresario del Teatro Grande, esportatore di doghe di quercia dalmata per le barriques e di pelli di capra istriana per i guanti francesi.

Un modello di imprenditore moderno, versatile e spregiudicato. È un appalto pubblico che, fatalmente, lo conduce al primo di una serie di rovesci di fortuna che, seguiti da altrettanto improvvise resurrezioni, rappresentano una costante della sua burrascosa esistenza: fornitore di carne per gli ospedali civile e militare e per le carceri, viene accusato di peculato e finisce dietro a quelle sbarre attraverso cui avrebbe dovuto passare il nutrimento ai prigionieri.

Condannato a tre anni di carcere duro, viene rilasciato dopo averne scontato uno solo: il 21 gennaio 1836 esce dalla prigione di Capodistria ferocemente antiaustriaco e irredentista ante litteram. Sì, perché di quella condanna che considera una persecuzione ai suoi danni da parte di autorità corrotte e anti-italiane, Snider Pellegrini non riuscirà mai a darsi pace: promuove la revisione del processo, si rivolge a Metternich e a Von Bruck, arriva fino alla corte di Vienna portando con sé la ciotola che serviva per la misura del brodo dell'ospedale di Trieste nel tentativo di dimostrare la sua onestà. Inutilmente. Quindici anni più tardi ancora ci pensa e scrive, in francese e in italiano, un interminabile trattato su “La giustizia in Austria” corredato di “2648 documenti autentici” sulla vicenda processuale.

Lontano da Trieste, ha ricostruito la sua fortuna. Ha fondato una casa di spedizione a Civitavecchia e da lì si è trasferito prima a Parigi e poi a Londra, dove diventerà socio e amico del celebre finanziere e filantropo americano George Peabody. Ma non ha dimenticato il suo rancore e la sua lotta: si è avvicinato ai circoli mazziniani (cenni a Snider si ritrovano nella corrispondenza dello stesso Mazzini), fiancheggia tutti i moti risorgimentali e nel '48 a Venezia si industria di sostenere la Repubblica di San Marco in modo un po' – come dire? - creativo.

Nel frattempo ha fatto in tempo a percorrere un altro vertiginoso saliscendi vivendo quella che forse è la più folle avventura della sua vita di imprenditore d'assalto: nel 1841, a Parigi, ha ottenuto dalla neonata Repubblica del Texas il ruolo di “entrepreneur de colonisation” con l'obiettivo di favorire la colonizzazione delle inospitali terre del sud in base a un utopistico progetto di ispirazione foureriana. L'impresa ha breve durata e, tuttavia, ci rivela un altro aspetto di questo sorprendente personaggio: la sua ispirazione libertaria e il suo carattere visionario. Sono queste caratteristiche che lo conducono nella successiva fase della sua vita a scrivere un numero considerevole di saggi e studi che da una parte inclinano al filosofico, (“Les Émanations. Recherche sur l'origine et la formation forcée et perpétuelle des mondes”) e dall'altra all'utopistico, come quello dedicato all'origine del Sahara, comprensivo di un piano per sfruttare il deserto.

Sul crinale di queste inclinazioni si situa lo studio per cui è tutt'ora malamente ricordato: “La Création et ses mystères dévoilés” che esce a Parigi nel 1858, a ridosso di “On the Origin of Species” di Darwin, non stupisce che la comunità scientifica fosse distratta. In esso per primo, cinquant'anni prima di Alfred Wegener, Snider propone la teoria della deriva dei continenti dandone anche una rappresentazione grafica e una illustrazione scientifica col dimostrare che da un lato all'altro dell'Atlantico i fossili nei depositi carboniferi hanno la stessa conformazione e dislocazione. Peccato che per “svelare” l'origine del mistero attribuisca il fenomeno al biblico diluvio. Ecco perché lo ritroviamo in veste di “precursore” e “devoto cristiano” – lui che è un feroce anticlericale – nei siti dei creazionisti americani che però non hanno proprio idea di chi sia. Altro successo sembra che l'opera non conosca, seppure una copia sia finita nella biblioteca di Italo Svevo.

Gli ultimi anni della vita di Antonio Snider Pellegrini sono avvolti in una nebbia tutt'ora fitta. Sappiamo che scrive ancora diversi libri, una “teoria sulla formazione delle comete”, un saggio su “l'uomo e la sua ragion d'essere sulla terra”, una “storia della Casa d'Austria” controversa e subito sequestrata. Attorno al 1870 si trasferisce a New York dove morirà nel 1885, circondato da favolose ricchezze secondo alcune fonti – fra cui una inestimabile collezione di quadri di Dürer, Rembrandt, Rubens, Tiziano, Tintoretto e altri, che apre al pubblico al fine di raccogliere fondi a favore dell'Ospizio di mendicità dell'amico Peabody – e in completa miseria secondo altre (il necrologio del New York Times riferisce che viveva della generosità di un amico dottore).

Poco prima di morire, incrollabilmente devoto alla sua causa, invia alla rivista newyorkese "Progresso italo-americano" un articolo dal titolo “Trieste non è austriaca nè tedesca, ma è italiana”. —

© RIPRODUZIONE RISERVATA

I commenti dei lettori