La farina dei partigiani nella Bisiacaria tre generazioni tra lotta, ideali e disincanto
Esce il racconto autobiografico di Andrej Marini con lo storico Paolo Purich per Edizioni Alegre: da Monfalcone alla Jugoslavia, viaggio nel ’900

la recensione
Un secolo a pugno chiuso tra utopia e disincanto. Una Buddenbrook proletaria, una saga familiare raccontata attraverso tre generazioni. Piero, Edi e Andrej hanno attraversato le facce più crude del Novecento, sempre illuminati dagli ideali di giustizia. Hanno creduto in un avvenire migliore, che si chiamasse socialismo o comunismo, hanno combattuto, hanno vinto e hanno perso ma non hanno mollato. Andrej Marini, che, dopo una vita nei cantieri di mezzo mondo, fino a pochi anni fa ha fatto il cuoco nella trattoria Al poeta di San Martino del Carso, sognava di poter raccontare la storia della sua famiglia e ha trovato in Piero Purich, storico e musicista, la persona giusta. Purich si è appassionato alle vicende dei Romano (che diventano quelle dei Marini e si diramano ai Fontanot, nome quasi leggendario nella foto di gruppo della sinistra locale) da accettare una sfida ambiziosa. Costruire un ampio affresco storico in cui far agire una miriade di personaggi dai destini saldamente intrecciati con i grandi avvenimenti storici che hanno segnato queste terre.
‘La farina dei partigiani’ (Edizioni Alegre, 461 pagg., 18 euro) nasce per raccontare la storia minuta della gente comune e vedere come prende fuoco al cospetto con un potente reagente, gli avvenimenti che si studiano sui libri di storia. Per farlo Purich ha costruito un ‘oggetto narrativo non identificato’, secondo la definizione che ne ha dato Wu Ming (che dirige la collana Quinto Tipo delle Edizioni Alegre con cui Purich collabora come consulente storico per il nord est), che si potrebbe anche chiamare ‘docufiction’. Un un solido impianto di divulgazione storica si anima coi dialoghi e la narrazione basata sulle memorie famigliari.
Al centro sta la Bisiacaria, terra di mezzo poco conosciuta, confine mobile palpitante e sofferente e il cantiere di Monfalcone, nato nel 1907, polo attrattore per gli operai del circondario, luogo di affrancamento dalla fatica della terra, artefice di orgoglio operaio e coscienza di classe. Attorno al cantiere ruotano i destini incrociati delle famiglie che danno polpa al libro, i Marini e i Romano, e che seguiremo lungo il Novecento, fermandoci nel punto focale del racconto.
Aprile 1945 a Tarcento, i giorni precedenti la Liberazione. Qui il partigiano Edi, papà di Andrej, viene fucilato dai cosacchi; gli inglesi lo operano e lo salvano miracolosamente, anche se resterà per sempre menomato. Purich costruisce la narrazione attorno a questo avvenimento, procedendo per salti in avanti e indietro, come se attorno a quel momento corresse il Novecento. Prima ci sono i giorni di prigionia del nonno Piero, mandato a combattere sui Carpazi da Francesco Giuseppe. Dopo per Edi ci sarà il richiamo della Jugoslavia di Tito, luogo di utopia nel quale realizzare quegli ideali per i quali aveva rischiato la pelle. Saranno in tanti gli operai di Monfalcone che sceglieranno di espatriare, negli anni immediatamente successivi alla fine della guerra. E in tanti faranno ritorno, disillusi. Edi tra questi, con un figlio in braccio, Andrej, che ha avuto il tempo di nascere a Fiume.
E poi toccherà a lui ricevere la sua razione di utopia e disincanto, prima sognando di portare le speranze del Sessantotto nel Partito comunista e poi, scontratosi con la realtà di una nomenclatura che ha ripiegato le bandiere negli interessi privati, preferendo l’esilio del lavoro all’estero, in Libia e a Panama. ‘La farina dei partigiani’ si conclude con l‘incontro impossibile tra nonno Piero e il nipote Andrej. Uno di ritorno dal congresso in cui è nato il Pci, l’altro da quello che ne ha decretato la fine. Uno è deluso, l’altro trepidante, ma nell’abbraccio che travalica il tempo col quale salutano alla stazione di Monfalcone si accorgono di pensare le stesse cose. “I nostri ideali sono validi in ogni epoca, si dicono stringendosi, finché ci saranno sfruttati e sfruttatori. Possiamo passare tempi bui, ma continuiamo a credere che al centro del mondo e della vita ci sia l’uomo. E siccome l’uomo per vivere deve lavorare, lottiamo per migliorare le condizioni di vita dell’umanità e le condizioni del lavoro”. —
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