Scuola, digitalizzazione, tecnica Come ai tempi del grande boom l’Italia sappia investire sul futuro

“Le cose che non ci diciamo (fino in fondo)”, è il titolo dell’ultimo libro di Ferruccio de Bortoli (Garzanti, pagg. 160 , euro 16). Un libro documentato, severo eppure mai, in nessuna pagina, gridato e rancoroso. Capace, semmai, anche nelle critiche più taglienti, di guardare tutti gli aspetti di una questione controversa, per dare al lettore, come si fa nel buon giornalismo (oramai raro, purtroppo), dati, fatti e punti di vista, necessari alla formazione di una libera opinione. Non ci diciamo, per esempio, che “viviamo al di sopra dei nostri mezzi”, investiamo poco, campiamo di rendita sul patrimonio accumulato in passato e soprattutto facciamo crescere il debito pubblico, scaricando cioè il costo del benessere attuale sui figli e i nipoti. La pandemia da Covid19 e la recessione hanno aggravato il quadro. Ma - insiste de Bortoli - preferiamo illuderci sulla bontà dei sussidi (quota 100 per le pensioni, il reddito di cittadinanza, un’infinità di sgravi fiscali) tralasciando invece la necessità di fare crescere la produttività, il lavoro vero con l’impegno delle imprese e gli investimenti in innovazione e formazione, come suggerisce anche il Recovery Plan della Ue. Ecco un punto fondamentale che sta a cuore a de Bortoli: non ci diciamo l’importanza della scuola. E così condanniamo irresponsabilmente le nuove generazioni a crescere ignoranti, indebitate e incapaci di fare fronte alle nuove esigenze dell’economia e della società sostenibile e digitale.
Globalizzazione e digitalizzazione, infatti, hanno cambiato tutto. Siamo in una “Terra incognita”. E bisogna scrivere “una mappa per il nuovo orizzonte economico”, come indica il titolo del libro di Sebastiano Barisoni, vicedirettore di Radio 24 (Solferino, pagg. 208, euro 16). Nel cuore di una crisi sanitaria che ha pesantissimi risvolti economici, è necessario cambiare radicalmente il nostro modo di fare economia e insistere sulla necessità di umanizzare il mondo degli affari e del lavoro, soprattutto nelle inedite dimensioni del governo dell’intelligenza artificiale. Sono gli orizzonti del cosiddetto “umanesimo digitale”. Grazie al quale potremo vivere un po’ meglio.
Nuovi orizzonti da scoprire. Ed energie da recuperare. Come quel patrimonio di speranze e di fiducia che rese possibile il boom economico nel nostro Paese. Lo racconta bene Alfio Caruso nel suo nuovo libro, “Così ricostruimmo l’Italia. 1945-1959” (Neri Pozza, pagg. 416, euro 18). Si usciva stravolti, distrutti, poverissimi dalla guerra, dopo gli anni neri del fascismo. Si ripartì rapidamente, tra aiuti internazionali (il Piano Marshall) e grande energia popolare che investì la politica, la cultura, l’industria. Si scelse la Repubblica e si scrisse una nuova Costituzione per un’Italia “fondata sul lavoro”. C’era una straordinaria classe politica, tra governo e opposizione, con un solido senso di responsabilità. E, nonostante durissimi conflitti politici e sociali, prevalse una diffusa volontà di ripresa, con una lungimirante sfida di sviluppo in nome delle nuove generazioni, cui consegnare un futuro migliore.
Della ricostruzione e del boom, uno dei protagonisti è stato Enrico Mattei, presidente dell’Eni, di cui Garzanti pubblica alcuni scritti e discorsi in un “piccolo grande libro” intitolato “Mattei. Gli italiani sanno lavorare” (pagg.96, euro 4,90), con una bella prefazione di Sandro Catani. Già in quegli anni Cinquanta e Sessanta Mattei insisteva sull’autonomia energetica italiana, sul talento e la professionalità di ingegneri, tecnici e operai italiani, sulla passione dei giovani che guardavano al “suo” Eni come a una risorsa preziosa per lo sviluppo del Paese. Innovazioni sulle radici della tradizione, cultura politecnica, gusto della sfida e della scoperta ne erano i segni forti. Rileggere oggi Mattei, in tempi di crisi, pandemia e recessione, significa, secondo Catani, cercare ispirazione, per la ripresa, nei valori di “una élite attenta al bene pubblico, appassionata del futuro, competente e rispettata a livello internazionale”. E sperare che esista ancora qualcuno capace di prenderne esempio. —
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