La Triestina salvata da De Gasperi nel ’46 ritorna in serie A con i malumori del Pci
Il giornalista Alfio Caruso ricostruisce gli anni dal ’45 al ’59 e rispolvera il dimenticato truffatore monsignor Cippico

In un’Italia divisa tra democristiani e comunisti, che si stava leccando le ferite della guerra, ogni terreno era buono per fare propaganda, anche il calcio. E fu una fortuna per la Triestina che, retrocessa dalla serie A, nell’estate del 1946 venne ripescata dal consiglio federale. Un premio per la situazione particolare che stava vivendo la città, amministrata dagli Alleati, rivendicata dagli jugoslavi, smembrata nel suo territorio. De Gasperi in persona caldeggiò il provvedimento che salvava l’Unione, mentre il Pci lo contestò, ravvisandone una provocazione contro la Jugoslavia di Tito. Il governo diede un’ulteriore mano alla società alabardata sotto forma di un bel pacco di milioni inviati a Trieste da un giovane Giulio Andreotti. È un episodio di quegli anni frenetici, confusi, difficili in cui l’Italia stava provando a rimettersi in piedi.
A raccontarlo è il giornalista Alfio Caruso in ‘Così ricostruimmo l’Italia’ (Neri Pozza, 335 pagg., 18 euro), un libro che è uno sfoglio veloce degli avvenimenti che tra il 1945 e il 1959 segnarono le tappe di un paese che stava passando con una velocità pazzesca dall’aratro di mussoliniana memoria al petrolio di Enrico Mattei, dalle macerie al boom. Un passaggio così brusco che quel balzo avrebbe probabilmente provocato, secondo il giudizio dello storico Guido Crainz, le tare di un ‘paese mancato’ che sarebbero emerse negli anni Settanta.
Per quell’arricchimento improvviso avremmo pagato un conto salato, ma Caruso non si addentra in un saggio storico, ci porta invece in un piacevolissimo amarcord di anni frizzanti, in cui c’era voglia di fare, ottimismo, speranza. Quattordici anni in cui nelle case degli italiani sarebbero entrati la lavatrice, il frigorifero e la tv con ‘Lascia o raddoppia’ e le gemelle Kessler. Nasceva il consumismo, dilagava la pubblicità. Balza agli occhi la differenza tra il paese raccontato nelle pagine di Caruso e l’Italia di oggi, alle prese con una crisi epocale ma vissuta in modo completamente diverso. Allora si percepiva unità e solidarietà, pur in mezzo a un paese politicamente diviso in due blocchi rigidamente contrapposti.
Nell’Italia nella quale correva la Topolino amaranto di Paolo Conte c’erano anche diversi triestini a darsi da fare. Come Giorgio Strehler, che rinnovava il teatro europeo, e Massimo Della Pergola, che invece arricchiva gli italiani. Questo giornalista, che era stato espulso dalla professione perché ebreo e nel 1943 si era salvato dai nazisti espatriando in Svizzera, a guerra finita aveva fondato la Sisal, che nel maggio ’46 presentò agli italiani la mitica schedina di quello che l’anno dopo si sarebbe chiamato Totocalcio. Ma c’era anche un triestino meno meritorio che si aggirava nientemeno che nei corridoi vaticani, monsignor Edoardo Prettner Cippico. Ufficialmente archivista della segreteria vaticana, in realtà un trafficone al centro di giri milionari. Scoperto, venne incarcerato ma riuscì a fuggire beffando le guardie svizzere. Condannato per furto, traffico di valuta appropriazione indebita per oltre 600 milioni, venne salvato da una sentenza della Cassazione che cancellò con un colpo di spugna i suoi misfatti.
Il libro di Caruso è zeppo di episodi come questi, fatti curiosi e personaggi noti o dimenticati che merita ricordare perché testimoni e protagonisti di un periodo che oggi ci appare luminoso e irripetibile. —
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