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Trieste fu trafitta dal funambolo delle parole: Karl Kraus con cent’anni e più d’anticipo fustigava i no vax

Il giornalista austriaco arrivò in città il 2 marzo 1912 invitato dai fedelissimi alla corona degli Asburgo. Sulle colonne del Piccolo la cronaca della chiacchierata allo Schillerverein, tra ilarità e applausi

Paolo Marcolin
3 minuti di lettura

TRIESTE Era acuto come Pasolini, mediatico come Sgarbi e riempiva le sale come Barbero. Le conferenze di Karl Kraus, il giornalista austriaco che aveva fatto della parola l’arma da scagliare contro la società, l’autore di un classico come ‘Detti e contraddetti’, il brillante inventore di fulminanti aforismi, il drammaturgo di un testo irrapresentabile come ‘Gli ultimi giorni dell’umanità’ erano un evento, tanto che bisognava fare la fila per assicurarsi un posto.

Andò così anche a Trieste, quel 2 marzo 1912, quando Kraus parlò, ma sarebbe più adatto dire fece spettacolo, nella Sala Schiller in Tergesteo. “Kraus – si legge nell’edizione del Piccolo del 24 febbraio - direttore della famosa rivista viennese ‘La fiaccola’, è un temperamento mordace di critico e svolgerà parecchi argomenti”. Il 1° marzo il giornale rinnova l’annuncio per l’indomani, ricordando che Kraus “è un uomo di vivacissimo spirito”. 

Per assistere alla conferenza bisognava acquistare un biglietto (Kraus devolveva in beneficenza gli incassi) che erano in vendita nella libreria Maylander, in via Mercato Vecchio. Kraus era stato invitato dallo Schillerverein, circolo culturale sorto nel 1859, una delle associazioni tedesche che riunivano i cittadini fedeli alla corona degli Asburgo. Vi facevano parte rappresentanti della burocrazia, militari, insegnanti, professionisti, ma anche artisti, studenti e uomini di lettere che subivano il fascino del mondo intellettuale viennese. Possiamo immaginare che fosse una rappresentanza di questo milieu cittadino che si sistemò nelle eleganti poltrone del circolo Schiller e assistette, “tra l’ilarità e gli applausi”, come riporta il cronista inviato dal Piccolo sul giornale del 3 marzo, a quella che “più che una conferenza fu una chiacchierata”. L’anonimo giornalista venne colpito dall’umorismo acre e tagliente di Kraus, fu sorpreso dal suo saltare di palo in frasca e finì con l’essere irretito anche lui da questo un “uomo geniale”.

Quando Kraus arriva a Trieste, in quel marzo del 1912, incontra una città sfolgorante di ricchezza. Con 229 mila abitanti è la seconda città dell’Austria dopo Vienna e davanti a Praga. Il porto scoppia di traffici, tanto che si devono costruire due moli e banchine in quello che è l’attuale porto nuovo; nel 1906 era stata completata la stazione di campo Marzio dove arrivavano i treni da Monaco, Parigi e Vienna, ed è da una di quelle carrozze che è sceso Kraus. La città è un cantiere. Vengono realizzate in pochi anni la prefettura, le sedi della Ras, l’hotel Excelsior. Sulle rive è in costruzione la Pescheria, che sarebbe stata inaugurata nel 1913.

Kraus aveva 38 anni. Le sue origini affondavano in una piccola città della Boemia, in una famiglia di agiati commercianti. Dopo il trasferimento a Vienna aveva tentato la via del teatro, ma aveva desistito preferendo il giornalismo. Però l’istinto per lo spettacolo, il suo essere animale da palcoscenico, li adoperava per tenere in pugno l’uditorio delle conferenze che dal 1910 aveva cominciato a tenere in giro per le città dell’impero. Il suo nome attirava gli spettatori, forte di una fama che era nata nel 1899, quando aveva fondato la rivista Die Fackel (La fiaccola), della quale è stato anche l’unico redattore (e così andò avanti fino al 1936, anno della morte), un foglio che sparava a zero contro tutti e tutto, tanto da inimicarsi gran parte del mondo culturale austriaco, che lo osteggiava apertamente, tanto da stringerlo in una congiura del silenzio ogniqualvolta veniva pubblicata una sua opera.

Tra il 1897 e il 1910 aveva pubblicato cinque volumi, tra cui il celeberrimo ‘Detti e contraddetti’, la raccolta di aforismi, il suo prediletto modo di espressione, perché, diceva, l’aforisma riassume il massimo del pensiero nel minimo delle parole. Kraus amava andare dritto al centro, colpire il bersaglio con un colpo di lama rapido e improvviso, come un sicario che affonda nel ventre molle delle ipocrisie di una società in disfacimento. Le sue riflessioni sono rimaste leggendarie e alcune si rivelano attualissime. Come questa, scritta nel 1906: “i nemici delle vaccinazioni – anche questa è una professione – hanno detto sarcasticamente che a Vienna non è scoppiato il vaiolo, ma un’epidemia di vaccino. Ora, anche loro sanno valutare il valore della profilassi, ma la loro prudenza è un po’ esagerata: si prendono il vaiolo per proteggersi dal vaccino”. 

Ne aveva per tutti: declamava contro i giornali, le donne, il conformismo, la psicanalisi (“è quella malattia mentale di cui crede di essere la terapia”). Parole e parole e parole perché in quella Vienna tutto ruotava attorno al linguaggio. “Freud, Kraus, Wittgenstein, Shoenberg, Loos, per tutti loro il linguaggio si pone come questione vitale, inziale, onnicomprensiva”, scriveva Roberto Calasso nell’introduzione alla prima edizione italiana di ‘Detti e contraddetti’. Perché questa convergenza sul linguaggio? Finito il regno delle regole, ne cominciava lo studio avventuroso. “L’uomo non c’è più, restano solo i suoi sintomi”. Sembra Kraus, è Gottfried Benn.

Dopo quella sera, Kraus ritornò a Trieste l’anno dopo, il 7 novembre 1913, da poco era stata pubblicata la prima traduzione italiana di una scelta di suoi aforismi. Il Piccolo del giorno dopo pubblicò un articolo che è tutto un elogio “per l’ironista, il pensatore che non riedifica, il ragionatore che non conclude, il negatore che lascia a chi lo legga o lo ascolti la libertà della conclusione induttiva”. Il cronista lo descrive “freddo ed elegante, spietatamente individualista ma in fondo commosso da un largo palpito di solidarietà umana, egli ricerca nella società contemporanea il falso, il convenzionale, il deperito e lo staffila senza pietà”. Kraus non tornò più a Trieste. La guerra avrebbe spazzato via quel ‘mondo di ieri’ in cui c’era spazio per l’arguzia e l’intelligenza. Poi, quando Hitler prese il potere, Kraus fu, per la prima volta in vita sua, senza parole. Si ammalò di cuore e morì nel 1936, e insieme a lui si spense la sua Fiaccola. —

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