Fritz Senn: «Trieste fece festa a noi “joyceani” a Dublino ci consideravano freaks»
Nel 1971 il massimo esperto al mondo dello scrittore irlandese arrivava in città per il III Simposio Internazionale James Joyce. Da allora è sempre ritornato

TRIESTE Con la sua arguzia, acume e immenso sapere, Fritz Senn è oggi il maggior esperto di James Joyce al mondo e il più attivo promotore di eventi internazionali dedicati allo scrittore irlandese.
Pochi come lui possono dire d'aver incontrato amici di Joyce come Frank Budgen o Carola Giedion-Welcher, o studiosi come Richard Ellmann e Anthony Burgess. La sua iconica figura è presente ogni dove ci si raduna nel nome di Joyce, soprattutto se è a Trieste.
Fritz Senn, nella sua vita Lei non è stato solo uno studioso di Joyce...
Sono nato a Basilea da una famiglia di semplici origini, poi ci siamo trasferiti a Zurigo dove ho studiato, ero un po' un autodidatta, timido e forse infelice. Un giorno un professore ci parlò de “I Morti”, un racconto di Joyce, e scoprii ch'era vissuto a Zurigo. Quando andai in viaggio studio a Londra acquistai per una ghinea una copia dell'«Ulisse» (un quarto del mio stipendio d'allora). Lo lessi e oggi posso dire che non ci capii niente, ma poi a Dublino e mi ritrovai nei luoghi descritti da Joyce. Lavoravo come correttore di bozze per Diogenes e poi come editor, un lavoro noioso, nel tempo libero leggevo Joyce, una lettura che m'ha aiutato a superare molti momenti difficili della mia vita. Forse per questo cerco di trasmettere ai giovani tutto ciò che ho scoperto su questo scrittore e i suoi testi.
Quand'è arrivato a Trieste per la prima volta?
Dev'esser stato nel 1971, quando incontrai Stelio Crise per l'organizzazione del III Simposio Internazionale James Joyce. Era la prima volta che una città accoglieva bene i joyceani, addirittura con un party al Comune. All'epoca a Dublino eravamo trattati come freaks. Tornai nel 1982, su invito di Thomas Staley, per il centenario della nascita di Joyce. Organizzai poi diverse gite con gruppi della Fondazione e in una di quelle occasioni conobbi John McCourt, che m'invitò all'inaugurazione la 1° Trieste Joyce School, era a giugno del 1997 e fino alla 23° edizione dell'anno scorso non ne ho persa una. Quindi negli ultimi cinquant'anni sarò venuto a Trieste una trentina di volte.
Perché la Trieste Joyce School è speciale?
Tutti gli eventi joyceani hanno il loro appeal. Non sono mai restato deluso (a meno che non fossi io di cattivo umore). E comunque dai tipi noiosi non ci si salva da nessuna parte. Sono ubiqui. Una cosa è certa, rispetto altre Scuole Joyce, quella organizzata a Trieste da McCourt, Pelaschiar e Crivelli è la più piacevole e stimolante, vuoi perché dura un'intera settimana, vuoi per la location mediterranea e la stagione estiva, ma soprattutto perché la morfologia della città permette di restare tutti insieme, fino a notte inoltrata, nei bar, nelle piazze e nelle trattorie. Anche l'Auditorium che ospita le conferenze è perfetto. Per questo Trieste è la location ideale per una Scuola Joyce.
C'è forse anche una sua Trieste privata?
La mia vita è molto solitaria, quindi quando sono a Trieste passo il tempo con i convegnisti. Però, al mattino presto, quando la città è ancora mezz'addormentata, amo fare lunghe passeggiate, in particolare sul colle di San Giusto, che tanti anni fa era pieno di gatti, e che oggi lo è molto meno; o andare lungo le rive. Una volta andai a piedi a Opicina. Trieste mi piace anche di notte, quando è tutta animazione fin sui moli che si tendono sul mare. Ha un carattere speciale, a ogni giro d'angolo offre una visuale diversa e sorprendente, ideale per un appassionato di fotografia come me. C'è un'ulteriore peculiarità che la rende unica ed è il mélange delle lingue che s'ascoltano nelle strade.
A inizio '900 il vecchio ghetto era pieno di bordelli. Secondo Lei Joyce frequentava davvero quei “luoghi di pubblica insicurezza”?
Penso ci sia della verità in questo. Lo studioso Erik Schneider ha fatto un serio e approfondito studio sull'argomento e ricordo anche le sue interessanti visite guidate. Ho difficoltà però a immaginare la vita erotica di Joyce. D'altronde, seppure l'”Ulisse” sia un libro osceno, dobbiamo dire che non è certo “afrodisiaco”. Ho la sensazione che per Joyce il sesso fosse essenzialmente qualcosa di sporco. Eredità cattolica? Sta di fatto che preferivo Cavana quand'era meno modaiola e più decrepita, aveva più atmosfera. Speriamo che Trieste non finisca per diventare uguale a tutte le altre città del mondo.
Trova che Trieste sia molto cambiata?
Certamente. Quando vi arrivai per la prima volta nel 1971 era una sonnolenta città di provincia, c'era poco movimento, pochi ritrovi. Nel corso degli anni si è svecchiata, è diventata una città più giovane. Ricordo che nel 1997 alcuni studenti volevano andare in discoteca e io li seguii, ma c'era solo una discoteca in città, da qualche parte su per la collina. Negli anni '90 era addirittura difficile trovare un ristorante aperto di domenica.
Venendo quasi sempre a giugno, è mai andato a nuotare nel nostro mare?
Il mondo è già abbastanza triste senza che io mi metta in mostra sulla spiaggia. No, non ne ho avuto occasione, e comunque avrei dovuto avere con me le mie pinne, boccaglio ed occhiali, ma non li ho mai messi in valigia!
Quest'anno a giugno doveva tenersi a Trieste il 27° International Joyce Symposium, ma l'evento è stato cancellato a causa della pandemia...
Sì. Purtroppo temo che salterà anche l'anno prossimo. Gli studi joyceani però non si fermano, le ricerche proseguono e le università funzionano online, a Zurigo ospitiamo piccoli gruppi di studiosi, favorendo sempre la più libera espressione da parte di studenti provenienti da ogni parte del mondo. Ma mancano a tutti noi i contatti umani, lo scambio personale, che è unico e insostituibile. —
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