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Che bello quel mondo visto con gli occhi dell’eterno tredicenne Michele Crismani

In sei volumi di Luciano Comida il ciclo narrativo del ragazzino che nel romanzo “Un pacco postale...”si confronta con i primi amori: tra Nutella e racconti di un’avvincente leggerezza

Walter Chiereghin
3 minuti di lettura

TRIESTE Ad ogni adulto capita di pensare agli adolescenti di cui ha diretta esperienza – e assiduità di (difficili) rapporti – come a individui di un’altra specie, quale che sia la profondità del legame affettivo che intercorre tra le diverse generazioni. Invertendo il punto di vista, è certo che altrettanto e più distante appare il mondo degli adulti a un tredicenne, che sembra osservare gli adulti come da un binocolo capovolto. Luciano Comida, inventando il suo personaggio Michele Crismani, eterno tredicenne, si assunse il compito di esplorare con occhi di adolescente lo strampalato mondo degli adulti e viceversa, attingendo in primo luogo alla memoria dei suoi anni più acerbi, rinforzata e stimolata negli anni per mezzo di innumerevoli incontri nelle scuole, spesi in un gradito confronto tra l’autore e i suoi giovanissimi lettori.

Il suo singolare personaggio nacque per impulso di Livio Sossi, guru triestino della letteratura per l’età evolutiva, che in esito alla sua lettura di un testo, “Padri pentiti”, in cui Comida, con l’autoironia che era un suo carattere distintivo tanto nella scrittura quanto nella vita, si cimentava «con il fastidio di aver figli». L’obiettivo indicato da Sossi all’autore era di prendere in esame, in forma narrativa, l’accidentato problematico rapporto tra genitori e figli e in effetti scaturì, da quella esortazione, un primo romanzo, pubblicato nel 1996 da Campanotto: “Vita privata avventure e amori di Michele Crismani dodicenne”, cui seguirono con le edizioni EL ed Einaudi Ragazzi, altri sei volumi col medesimo protagonista. Prese così forma un autentico ciclo narrativo, dove, a partire dal secondo volumetto, l’età di Michele rimase cristallizzata in un’eterna dimensione di tredicenne.

Da tempo purtroppo fuori catalogo, il terzo libello della serie, “Un pacco postale di nome Michele Crismani”, pubblicato nel 2000 dalle Edizioni EL e ristampato da Einaudi Scuola due anni dopo, mette in scena una breve vacanza forzata del piccolo eroe eponimo, “deportato” da Trieste a Tolmezzo, nella casa degli zii, a causa di un viaggio dei genitori in occasione di una trasferta lavorativa del padre. Fin dalle prime pagine chi legge si trova nel mezzo di un conflitto tra la volontà dei genitori e quella, con obiettivo del tutto opposto, del ragazzo, che nella dialettica con gli adulti si colloca con spontanea determinazione, a priori, in una posizione antagonistica. Così avviene anche per il temporaneo trasferimento nella località friulana, testardamente osteggiato dal ragazzo, che comunque viene depositato – come un pacco postale, appunto – nella casa degli zii. Un soggiorno percepito da Michele come una sorta di ingiusta condanna al confino. Nulla appare accattivante ai suoi occhi: né i parenti che lo ospitano, né i cuginetti troppo piccoli per lui, compreso il neonato Giancarlo, «tre mesi e un volume sonoro che neanche Vasco Rossi al Palasport», né la casa inspiegabilmente priva di televisore, e neppure la cittadina carnica, che esplora con la bicicletta della zia.

Tutte queste elencazioni di sgradevolezze si arrestano però di colpo con l’entrata in scena di Michelle, una ragazza di colore proveniente dalla Martinica, «scura, ma non nera nera. Ecco: un po’ come la nutella, solo più chiara». Pressappoco sua coetanea, bella «con… sì insomma, tutte le cose che hanno le ragazze. E due occhi grandi come due cd».

Con questi presupposti, un lettore anche minimamente smaliziato può già intuire dove la storia andrà a parare, con un lieto fine agrodolce: una separazione anticipata tra i due – che ovviamente si sono prontamente innamorati – confortata però dallo scambio di un bacio e dalla promessa di non perdersi di vista e di un nuovo incontro in Puglia, dove risiede Michelle.

La capacità di Comida di mantenere la narrazione su un tono di avvincente leggerezza, quella di mimetizzarsi dietro la scrittura a volte goffa altre volte sorprendentemente fresca di un adolescente rendono quel suo “pacco postale”, come del resto gli altri sei romanzi del ciclo di Michele, una lettura capace di catturare l’attenzione di un pubblico che può andare dai nove ai novant’anni.

Come in ogni altra cosa che ha scritto Comida, anche in questa storia non manca un impegno di carattere sociale, o se vogliamo educativo, vista l’età dei probabili suoi lettori. In questo caso, considerato il colore della pelle di Michelle, solo di poco più chiaro della nutella, fatale che si svolgano considerazioni riguardo al pregiudizio razziale. La cosa si risolve in poche righe, meno di mezza paginetta di dialogo tra i due protagonisti della storia, dove Michelle riesce a far risaltare con poche parole pianamente discorsive l’assurdità del razzismo, senza ricorrere ad alcuna retorica che avrebbe fatto percepire ai lettori più svegli un tono di “predica” che fatalmente li renderebbe diffidenti e scettici.

Fa specie che si perdano nel macero imposto dal consumismo soprattutto dell’editoria per l’età evolutiva piccole perle come questa, anche in una città che avrebbe tutti i numeri per risultare in posizioni di vertice anche in questo non facile settore. —

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