TRIESTE Jan Morris, viaggiatrice infaticabile, ha scritto libri su Venezia, Sidney, Hong Kong, New York, Oxford, centinaia di articoli e saggi su ogni parte del mondo. Scalò l'Everest con la spedizione che nel 1953 ne raggiunse la vetta e riuscì a far pervenire la notizia in tempo al Times per essere trasmessa alla Regina Elisabetta nel giorno della sua incoronazione. Ieri, all'età di 94 anni ha intrapreso il suo viaggio più difficile, quello da cui non c'è ritorno. Si potrebbe dire che per Trieste questo è un lutto cittadino, infatti a Jan Morris si deve quello che resta il ritratto letterario più pregnante che sia mai stato scritto sulla nostra città: “Trieste o del nessun luogo”, tradotto da Piero Budinich per il Saggiatore nel 2003 e da allora oggetto di centinaia di ristampe, un libro amatissimo, che ha portato a Trieste migliaia di persone.
Dal 1945, ogni volta e fino a quando ha potuto, Jan Morris è tornata a Trieste, anche se solo per un paio di giorni. Soggiornava sempre lì, all'Hotel Savoia, un posto per lei magico. Il luogo della rivelazione della sua vera identità. Quando venne a Trieste in occasione della presentazione di “Trieste o del nessun luogo” definì quel libro il testo più importante della sua vita: «Non è un libro di viaggio, - dichiarò – non è un libro di storia, non è una autobiografia, penso che possa essere definito una ego-biografia». L'autrice vi ripercorre, attraverso la storia della città, dei suoi conflitti e dei suoi momenti di splendore, la sua propria vita, quasi volesse rispecchiare nella città tutte le contraddizioni, le ambiguità, le occasioni perdute, o la più profonda verità della sua stessa esistenza. In quell'occasione Jan Morris dichiarò al Piccolo: «In un certo senso io sono sempre “da nessuna parte”, “divisa”, “separata”. La migliore analogia col mio concetto di “Nowhere” è l’idea di sentirsi “a fold in a map”: una piega in una carta geografica. Non sei proprio su nessuna delle due parti della carta, ma sul margine tra l’una e l’altra, scolorito dall’uso e dal tempo. In realtà sei su entrambe, ma separata. Amo molto quelli che Augè ha definito Nonluoghi, ma per motivi completamente diversi da quelli che mi legano al “nessun luogo” che è per me Trieste. Città ideale per esuli, outsiders, ebrei erranti, “loners”, solitari di ogni tipo, drop-outs, rinnegati, per chi, come me, si sente “a fold in a map”».Jan Morris è stata la grande cantatrice dei fasti dell'impero britannico a cui ha dedicato la trilogia “The Pax Britannica”, e di Trieste ha celebrato il suo passato K.u.K., come ha anche dedicato libri all’Impero Veneziano. Degli imperi l'affascinavano gli apici raggiunti, ma era sedotta anche dal loro declino che, con il lento, triste passaggio alla mediocrità e alla normalità finiva per apparirle ancora più affascinante degli splendori precedenti. Definiva “Trieste o del nessun luogo” un libro molto privato, contenente “tra le righe” tanto dell’esperienza raccontata in “Conumdrum”. «Molte persone portano il nome di luoghi cari. - ha dichiarato Jan Morris in una intervista, aggiungendo - Sì, non mi dispiacerebbe essere chiamata: Signora Trieste». —