In evidenza
Sezioni
Magazine
Annunci
Quotidiani GNN
Comuni

I barcari della pianura tra fiumi e canali sull’acqua un mondo che scompare

Nel nuovo libro di Paolo Malaguti la storia di Caronte, del nipote Ganbeto, della loro vita sul burchio

2 minuti di lettura

Massimo Greco

«Adesso te puoi dire di aver visto Venessia, come i sior! Però prima di dire che è bella, spetta di vedere Trieste, poi ne riparliamo!». «Trieste ... Trieste! Bisogna andarghe, a Trieste, per capire cossa che l’è. I caffè, e i palassi, e il mare l’ha un color tuto suo ... E le fèmane! Sacramento, a Trieste le fèmane l’è fèmane do volte!».

Per Caronte Trieste è una sorta di città-mito. Non è chiaro se l’abbia effettivamente visitata. Ma in fondo è indifferente: ne parla al nipote Ganbeto con un tale trasporto, che il ragazzino, guardando per la prima volta il mare dai murazzi di Pellestrina, si volge verso due pescatori domandando «Da che banda che l’è Trieste?».

Bisogna subito spiegare che in questo libro di Paolo Malaguti, “Se l’acqua ride”, (Einaudi, pp. 189, euro 18,50) il mare bagna solo la periferia del racconto, che predilige viaggiare su canali e fiumi della pianura veneto-padana. Per dare un’idea dei luoghi, si può dire che la storia corre in parallelo all’A13, l’autostrada Padova-Bologna: Battaglia, Monselice, Polesine, Ferrara. Al massimo un centinaio di chilometri. Una storia che sembra riandare a secoli fa, invece risale a poco più di mezzo secolo addietro, in mezzo agli anni Sessanta. Pare lontana, quasi una fiaba immersa nella nebbia, nell’afa, nell’umidità. Ma non è una fiaba, perché il contatto con la realtà sociale ed economica, che cambia radicalmente, scuote ritmi, abitudini, rapporti, consuetudini. Approdi, squeri, chiuse, osterie spesso raggiungibili solo con la barca fanno parte di un piccolo mondo antico, di “corporazioni” naviganti e artigiane destinate a sparire sotto i colpi del progresso.

La vicenda e il contesto narrati da Malaguti, che è del posto, sono atipici, originali, simbolici. Caronte è il proprietario di un “burchio”, un battello dal fondo piatto che trasporta merci ingombranti (cereali, zucchero, masegni) lungo i corsi di acqua tra Veneto, Lombardia, Emilia. Un lavoro che oggi è svolto dai camion e utilizza strade asfaltate. I barcari più innovativi hanno montato il motore per muoversi prima e meglio. Carone non è tra questi, la sua “Teresina” affronta le idrovie tra Battaglia Terme, Chioggia, Bondeno sfruttando vele, remi, correnti. Quando si rivelavano insufficienti, ai tempi eroici funzionavano sulle alzane cavalli e cavallanti che trainavano i natanti: servizi in via di rapida estinzione. Se ne accorge il giovane Ganbeto, che accompagna nonno Caronte in un viaggio acqueo fino al Ferrarese: deve calarsi nelle acque del Panaro e sostituirsi di fatto a Moro, il cavallo di Iufa, perchè sono morti entrambi, uomo e animale ...

Il piccolo mondo antico è minacciato da molte ragioni di concorrenza. Figli e nipoti guardano con crescente interesse il lavoro in fabbrica o in officina, le otto ore contrattuali, l’iscrizione al sindacato, ecc. Le famiglie cercano di affrancarsi da una scomoda ruralità: il bagno in casa, il televisore, lo scooter ... Il Veneto “profondo” assaggia la modernizzazione dei costumi. A bordo del “burchio”, dove si mangia e si dorme, il menu è piuttosto ripetitivo: polenta, sarde, pasta e fagioli. Il vino, comunque, non manca mai. Ganbeto ha l’età in cui si guardano le “tose”: Beatrice, Lucia, Maria. Con Nives non sono solo sguardi. Malaguti accenna ai cantanti del momento, i suoi personaggi invece non parlano mai di politica e di calcio. C’è una data, quasi un confine epocale che segna l’addio a questa umanità fluviale: è la grande alluvione del novembre 1966 (la stessa che ferì Firenze), un disastro a Venezia e in tutto il basso Veneto. Emblematica anche la fine di Caronte: sfida i nembi e lancia la “Teresina” in mare aperto. Di lui non si ebbero più notizie. —

© RIPRODUZIONE RISERVATA

I commenti dei lettori