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Il calo demografico rende l’Italia a rischio «Un Paese vecchio è più esposto ai virus»

Il sociologo Vittorio Filippi spiega perché la popolazione anziana sta pagando il prezzo più alto alla pandemia in atto

3 minuti di lettura

l’intervista



Se c’è una cosa che dovremmo aver imparato da questa epidemia di Coronavirus, è che «l’improbabile governa le nostre vite». Questa massima non a caso è il sottotitolo del saggio oggi più citato per descrivere l’emergenza che stiamo vivendo, “Il Cigno Nero” (Il Saggiatore, 2014) dell'epistemologo ed ex trader di origine libanese Nassim Nicholas Taleb, ritenuto tra i massimi esperti di “scienze dell'incertezza”. È proprio l’evento isolato e improbabile – secondo Taleb – che, quando accade, determina un impatto enorme sulla realtà trasformandola radicalmente fin dalle sue premesse: di qui la metafora del cigno nero, di cui nessuno in Europa ipotizzava l’esistenza fino a quando non venne scoperto nel 1697 in Australia.

Per il sociologo e docente universitario Vittorio Filippi però dietro all’imprevisto “cigno nero” del Coronavirus, che l’Italia ha improvvisamente scoperto per prima in Europa pagandone pesanti conseguenze, esiste un “cigno” ben noto ma a lungo ignorato, che ha inesorabilmente cambiato il volto della nostra società: l’invecchiamento demografico. Punto focale del saggio che Filippi sta ultimando per l’Università di Firenze è proprio la “vendetta” della demografia.

«Il Coronavirus – spiega Filippi - ma anche qualsiasi altra ondata epidemica, persino una banale influenza, ha in Italia un impatto maggiore che altrove e questo perché siamo uno dei tre paesi più vecchi al mondo. La longevità - continua -, elemento assolutamente positivo, segno di grande progresso e civiltà, purtroppo nasconde un lato oscuro e cioè la fragilità fisica e psichica di una fetta importante della popolazione. Di fronte ad eventi imprevisti e catastrofici, come il Coronavirus, la fascia anziana, che porta con sé patologie cronicizzate tenute sotto controllo dai progressi della medicina, è esposta ad un profilo di rischio dal punto di vista socio-sanitario estremamente elevato. Se nella popolazione questa fascia è prevalente, tutto il sistema è a rischio. Gli eventi catastrofici ed imprevisti dimostrano così con drammatica evidenza lo squilibrio demografico della nostra società e l'insostenibilità ormai evidente di una mancanza cronica di giovani».

A cento anni dalla “Spagnola”, la grande ondata pandemica di influenza che tra il 1918 e il 1920 produsse più di cinquanta milioni di morti e oltre cinquecento milioni di contagiati su una popolazione mondiale di due miliardi di persone, una riflessione secondo Filippi deve essere fatta. «All’epoca a essere colpite furono le fasce più giovani, tra i 20 e 40 anni, indebolite dalla guerra e da una alimentazione insufficiente, tuttavia la vivacità demografica riuscì a compensare velocemente. Oggi qualunque catastrofe o pandemia, sempre più probabile anche in conseguenza dei profondi cambiamenti climatici, viene a colpire in Italia una popolazione per lo più anziana e senza possibilità immediate di compensazione demografica».

La trappola dell’infertilità, come viene definita dal demografo Wolfang Lutz, ci starebbe mettendo a rischio come sistema paese. «La demografia – spiega Filippi - è una cosa molto lenta, lavora come una talpa sotto terra. L’Italia è caduta lentamente nella trappola dell’infertilità a partire dagli anni ’70 -’80, quando la società ha cominciato a puntare tutto sulla ricchezza del presente, sull'edonismo, sull'individualismo, tutti fattori che ci hanno spinto a produrre di più e a considerare i figli una sorta di investimento: così uno per famiglia in questa logica poteva bastare. Ma – continua Filippi - il figlio unico è insufficiente in termini demografici, ogni coppia dovrebbe generarne 2,1 per mantenere almeno l'equilibrio della popolazione».

Guarda caso è proprio a metà degli anni ’80, nel pieno del così detto “edonismo reganiano”, che in Italia debito pubblico e debito demografico hanno cominciato a correre insieme: è in quel periodo infatti che i morti iniziano a superare i nati e il debito pubblico oltrepassa il 100% del Pil.

Soluzioni? Secondo Filippi non sono facili in tempi brevi, perché entrambi i debiti, quello economico e quello demografico, hanno un'inerzia spaventosa. «Non basta dire mettiamoci a fare figli, – spiega il sociologo - i tempi comunque sarebbero molto lunghi data la forte riduzione di donne in età fertile. L'unica soluzione in tempi brevi per paesi come l’Italia è creare una società inclusiva, aperta all’immigrazione, che per definizione è giovane».

Modelli da seguire? Secondo Filippi due città “vecchie” demograficamente come Venezia e Trieste, però dalla tradizione storica fortemente aperta agli scambi, all'incrocio di civiltà, alle presenze multi-etniche, oggi possono diventare due esempi vincenti per l’Italia del futuro.

«Entrambe – spiega - hanno conosciuto nei secoli contaminazioni e mescolanze di popoli e culture diverse e hanno avuto successo proprio perché continuamente mescolate. Entrambe hanno un porto molto attivo che fa circolare merci e persone e una fiorente università che richiama giovani da tutta Italia. Entrambe hanno una forte attitudine turistica e un badantato numericamente importante per l’assistenza agli anziani. Tutti elementi di richiamo e di forte mescolanza per l’immigrazione lavorativa, studentesca, commerciale, etc. Dunque sicuramente, se ben gestite, possono diventare le città del futuro». —

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