Il calo demografico rende l’Italia a rischio «Un Paese vecchio è più esposto ai virus»
Il sociologo Vittorio Filippi spiega perché la popolazione anziana sta pagando il prezzo più alto alla pandemia in atto

l’intervista
Se c’è una cosa che dovremmo aver imparato da questa epidemia di Coronavirus, è che «l’improbabile governa le nostre vite». Questa massima non a caso è il sottotitolo del saggio oggi più citato per descrivere l’emergenza che stiamo vivendo, “Il Cigno Nero” (Il Saggiatore, 2014) dell'epistemologo ed ex trader di origine libanese Nassim Nicholas Taleb, ritenuto tra i massimi esperti di “scienze dell'incertezza”. È proprio l’evento isolato e improbabile – secondo Taleb – che, quando accade, determina un impatto enorme sulla realtà trasformandola radicalmente fin dalle sue premesse: di qui la metafora del cigno nero, di cui nessuno in Europa ipotizzava l’esistenza fino a quando non venne scoperto nel 1697 in Australia.
Per il sociologo e docente universitario Vittorio Filippi però dietro all’imprevisto “cigno nero” del Coronavirus, che l’Italia ha improvvisamente scoperto per prima in Europa pagandone pesanti conseguenze, esiste un “cigno” ben noto ma a lungo ignorato, che ha inesorabilmente cambiato il volto della nostra società: l’invecchiamento demografico. Punto focale del saggio che Filippi sta ultimando per l’Università di Firenze è proprio la “vendetta” della demografia.
«Il Coronavirus – spiega Filippi - ma anche qualsiasi altra ondata epidemica, persino una banale influenza, ha in Italia un impatto maggiore che altrove e questo perché siamo uno dei tre paesi più vecchi al mondo. La longevità - continua -, elemento assolutamente positivo, segno di grande progresso e civiltà, purtroppo nasconde un lato oscuro e cioè la fragilità fisica e psichica di una fetta importante della popolazione. Di fronte ad eventi imprevisti e catastrofici, come il Coronavirus, la fascia anziana, che porta con sé patologie cronicizzate tenute sotto controllo dai progressi della medicina, è esposta ad un profilo di rischio dal punto di vista socio-sanitario estremamente elevato. Se nella popolazione questa fascia è prevalente, tutto il sistema è a rischio. Gli eventi catastrofici ed imprevisti dimostrano così con drammatica evidenza lo squilibrio demografico della nostra società e l'insostenibilità ormai evidente di una mancanza cronica di giovani».
A cento anni dalla “Spagnola”, la grande ondata pandemica di influenza che tra il 1918 e il 1920 produsse più di cinquanta milioni di morti e oltre cinquecento milioni di contagiati su una popolazione mondiale di due miliardi di persone, una riflessione secondo Filippi deve essere fatta. «All’epoca a essere colpite furono le fasce più giovani, tra i 20 e 40 anni, indebolite dalla guerra e da una alimentazione insufficiente, tuttavia la vivacità demografica riuscì a compensare velocemente. Oggi qualunque catastrofe o pandemia, sempre più probabile anche in conseguenza dei profondi cambiamenti climatici, viene a colpire in Italia una popolazione per lo più anziana e senza possibilità immediate di compensazione demografica».
La trappola dell’infertilità, come viene definita dal demografo Wolfang Lutz, ci starebbe mettendo a rischio come sistema paese. «La demografia – spiega Filippi - è una cosa molto lenta, lavora come una talpa sotto terra. L’Italia è caduta lentamente nella trappola dell’infertilità a partire dagli anni ’70 -’80, quando la società ha cominciato a puntare tutto sulla ricchezza del presente, sull'edonismo, sull'individualismo, tutti fattori che ci hanno spinto a produrre di più e a considerare i figli una sorta di investimento: così uno per famiglia in questa logica poteva bastare. Ma – continua Filippi - il figlio unico è insufficiente in termini demografici, ogni coppia dovrebbe generarne 2,1 per mantenere almeno l'equilibrio della popolazione».
Guarda caso è proprio a metà degli anni ’80, nel pieno del così detto “edonismo reganiano”, che in Italia debito pubblico e debito demografico hanno cominciato a correre insieme: è in quel periodo infatti che i morti iniziano a superare i nati e il debito pubblico oltrepassa il 100% del Pil.
Soluzioni? Secondo Filippi non sono facili in tempi brevi, perché entrambi i debiti, quello economico e quello demografico, hanno un'inerzia spaventosa. «Non basta dire mettiamoci a fare figli, – spiega il sociologo - i tempi comunque sarebbero molto lunghi data la forte riduzione di donne in età fertile. L'unica soluzione in tempi brevi per paesi come l’Italia è creare una società inclusiva, aperta all’immigrazione, che per definizione è giovane».
Modelli da seguire? Secondo Filippi due città “vecchie” demograficamente come Venezia e Trieste, però dalla tradizione storica fortemente aperta agli scambi, all'incrocio di civiltà, alle presenze multi-etniche, oggi possono diventare due esempi vincenti per l’Italia del futuro.
«Entrambe – spiega - hanno conosciuto nei secoli contaminazioni e mescolanze di popoli e culture diverse e hanno avuto successo proprio perché continuamente mescolate. Entrambe hanno un porto molto attivo che fa circolare merci e persone e una fiorente università che richiama giovani da tutta Italia. Entrambe hanno una forte attitudine turistica e un badantato numericamente importante per l’assistenza agli anziani. Tutti elementi di richiamo e di forte mescolanza per l’immigrazione lavorativa, studentesca, commerciale, etc. Dunque sicuramente, se ben gestite, possono diventare le città del futuro». —
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