Famiglia Regeni, tutti pronti? Si parte, sempre. Così è nato il senso di Giulio per il mondo
I genitori del giovane di Fiumicello ucciso in Egitto ricordano i viaggi insieme, il suo amore per la vita. Restare fermo per lui sarebbe stato un atto di egoismo: invece era un generoso. Ecco il libro-racconto

Per gentile concessione pubblichiamo un brano dal libro “Giulio fa cose” di Paola Deffendi, Claudio Regeni e Alessandra Ballerini edito da Feltrinelli (gennaio 2020).
TRIESTE In casa c’era una regola: fino ai diciotto anni si viaggia con mamma e papà. Giulio e Irene, soprattutto quando sono diventati un po’ grandicelli, hanno sempre mugugnato qualche protesta, anche se siamo convinti che in fondo erano felici di partire tutti quanti insieme. Anche perché i nostri viaggi di famiglia sono sempre stati assai avventurosi. Ne ricordiamo alcuni, con particolare affetto. E nostalgia. Quando Giulio era molto piccolo, siamo andati in Provenza in tenda. Ci è sempre piaciuto questo modo di viaggiare. Per il concetto che si porta dietro: la libertà. Ma anche per una questione di comodità: si poteva partire in qualsiasi momento senza troppa organizzazione, era la maniera più flessibile. E la più economica. Senza spendere una fortuna potevamo fare vacanze bellissime.
In Camargue, nel parco naturale, un pezzo di Europa selvaggio, dove il tempo sembra sospeso e il concetto di libertà sembra esplodere. La prima volta Giulio aveva un anno e mezzo, poi ci siamo tornati altre volte, lasciandoci sempre un pezzo di cuore. In quella terra magica andavamo a vedere i luoghi di Van Gogh e di Cézanne. Lì Giulio disse una delle sue prime parole: “Lalli”, cavalli, osservando una mandria che correva sciolta nelle campagne a pochi metri da noi.
Quando nacque Irene le cose non cambiarono. Provammo soltanto a organizzarci in maniera diversa. Prendemmo prima una roulotte, poi passammo subito al camper. Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Danimarca. Era tutto sempre molto divertente, anche se niente andava mai come doveva.
Fin dall’inizio c’è stata una particolarità che ha accomunato tutti i nostri viaggi: quando prendevamo in mano un mezzo di locomozione, quel mezzo cominciava a non funzionare. Successe con il furgone, quando avevamo un furgone, poi con il camper. Con il precedente proprietario, un nostro amico, non aveva mai perso un colpo. Ma nelle nostre mani…!
Per dire: Giulio aveva dodici anni. Irene sette. Decidemmo di andare a Capo Nord. Eravamo sul traghetto e i bambini carpirono una conversazione di un’altra famiglia che avevamo incontrato lungo il viaggio. Raccontavano di aver avuto un intoppo con il camper, un guasto, e che quindi si erano rivolti all’assicurazione con la quale avevano stipulato una polizza prima di partire. Spiegavano che la compagnia si era attivata e aveva avviato la procedura prevista dal contratto: “Rientro forzato in patria”. Significava che alcuni meccanici dell’assicurazione avrebbero raggiunto la famiglia di camperisti per aggiustare il mezzo. Poiché i tempi si sarebbero allungati, si erano mossi per farli tornare a casa, in aereo, dopo averli fatti soggiornare per alcuni giorni in albergo.
La cosa scivolò così. I bambini ascoltarono e non ci dissero nulla. Qualche giorno dopo stavamo guidando nelle foreste della Norvegia, paesaggi bellissimi, eravamo entusiasti. Per passare il tempo in camper si leggeva oppure organizzavamo giochi. Un grande classico era la caccia al tesoro. Insomma, eravamo lì spensierati quando accadde quello che tutti ci aspettavamo che prima o poi sarebbe accaduto: il camper si ruppe…
Noi cominciammo a fare quello che andava fatto: riparazione di fortuna, chiamata all’assicurazione affinché ci individuasse con la geolocalizzazione e ci potesse dare assistenza. Dai bambini, sul retro, arrivava uno strano silenzio. Li trovammo pronti, con gli zaini in spalla chiusi pieni delle loro cose, dai giocattoli ai vestiti.
“Ma cosa fate?” chiedemmo. “Rientro forzato in patria!”. Erano già pronti all’albergo a 5 Stelle e al viaggio in aereo… Dopo un’ora arrivò il meccanico mandato dall’assicurazione. Riparò il nostro camper velocemente.
Ripartimmo. I bambini fecero finta di essere delusi, rimisero le loro cose a posto, ma in realtà avevano imparato una cosa vera. Anzi due. Nei viaggi possono accadere imprevisti. E in quei casi qualcuno ti può e ti deve aiutare. Non succede sempre, purtroppo.
Le nostre disavventure di viaggio erano diventate una sorta di sitcom tra i nostri amici. Siamo stati antesignani degli influencer. Perché in realtà un blog noi, per i nostri viaggi, lo avevamo. Irene era al secondo anno di liceo, e aveva creato un blog nel quale raccontava tutte le disavventure che ci capitavano nel corso di un viaggio a Biarritz. Per dire: gomma bucata, gommista chiuso. Notte fermi. La mattina dopo, Shining: siamo fermi in una piazzola di sosta, c’è anche altra gente quando arrivano per soccorrerci. Per sostituire la gomma sollevano con un cric il camper che quindi si inclina, leggermente, su un lato. All’improvviso da sotto l’uscio della porta comincia a sgorgare un rivolo rosso. Cavolo, sangue! Apriamo di corsa, preoccupati che qualcuno si fosse ferito, i meccanici ci guardano allibiti. Era una bottiglia di succo di arancia, cascata per terra, appoggiata sul fianco del frigorifero che si era aperto durante il sollevamento, sembrava una fontana. Ripartiamo: qualche ora dopo fumo bianco dal motore. Ci fermiamo, ci raggiungono delle persone, la nuvola sovrastava il camper, sembrava che tutto stesse andando a fuoco. Apriamo il cofano e vediamo un piccolo zampillo di acqua sul motore: un innocuo tubicino rotto, un’enorme nuvola di vapore. Non era nulla, solo spavento. Peccato che mentre facevamo tutte queste operazioni una signorina era lì accanto con un piede sulla testa. Ma non come metafora. Esattamente con un piede sopra la testa. Ci parlava così, tenendosi una gamba in aria, sembrava la scena di un film di Fellini, una vignetta dell’assurdo: era una ballerina, ci spiegò poi. E aveva bisogno di fare stretching.
Quando rientrammo a casa c’era tutto il paese che ci aspettava per ascoltare le nostre disavventure di viaggio. “E allora, questa volta cosa vi è successo?” ci chiedevano gli amici. E l’anno successivo tutti che volevano partire con i Regeni… Eravamo un’esperienza da vivere. E in fondo, sì, lo eravamo.
Queste storie possono sembrare prive di significato, ma certificano un pezzo fondamentale di quello che siamo, di quello che siamo stati. E di quello che sono i nostri figli. Poteva Giulio non vedere il mondo? No, non poteva. Poteva averne paura? Non poteva. Ne aveva troppo rispetto, aveva capito da subito quanto fosse bello. Giulio era un ragazzo generoso. Straordinariamente generoso. Restare fermo, per lui, sarebbe stato quasi un atto di egoismo. Non sarebbe stato Giulio. —
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