Tutti vorrebbero essere “scrittori di Trieste”. Fossero almeno capaci di ballare fino all’alba...
Un po’ come Dublino: il fascino resiste, ma la città letteraria è una bella canzone già cantata troppe volte
Alberto Garlini
TRIESTE Questo va detto, sono andato a caccia di citazioni su internet, e ho trovato le solite cose, e ho pure chiesto a un’amica traduttrice dallo spagnolo di suggerirmi qualcosa che non sapessi, e stavo quasi traducendo alcune frasi di Josep Pla, scrittore di viaggi per lo più, che diceva che insomma Trieste era un po’fredda, un po’ostentata e germanica, o qualcosa del genere perché lo spagnolo non lo conosco e vado così, all’impronta, o a istinto.
Oppure volevo soffermarmi su una citazione trovata poco sotto, di questo drammaturgo austriaco, Herman Bahr, di cui conosco poco niente, so che era decadente e una specie di nemico giurato di Karl Kraus. Bahr diceva che a Trieste si ha l’impressione di non stare da nessuna parte, la sensazione di restare sospesi nell’irrealtà. Insomma un giudizio decadente, da fiero avversario di Karl Kraus.
Ecco, la realtà era che mi cagavo abbastanza addosso, perché tutte le citazioni sono più o meno appaltate, e per parlare di Trieste e letteratura, bisogna trovare qualcosa di nuovo, cercare strade non già percorse.
Allora ho cominciato a pensare che forse chiunque scrive su Trieste si trova nella mia stessa situazione. Trieste è una città scontrosa come un ragazzo vorace o uno spazio abitato dal nulla? Un muro invalicabile di citazioni ci costringe ad accettare tutto e il contrario di tutto (purché sia vagamente originale), come se la città fosse stata detta troppe volte.
Si cercano le citazioni rare proprio quando le più comuni sono consunte sciupate o appassite.
E pensando a questo ho pensato anche perché Trieste mi piaccia come città, la trovo magnifica, mi piace il suo buon vivere, il cibo l’orizzonte gli spazi l’architettura, il mare, ma nello stesso tempo mi interessi poco come città letteraria.
Tutti vorrebbero essere scrittori triestini, molti ci riescono, e moltissimi, triestini e non triestini, hanno scritto di Trieste. Sembra un po’ Dublino, dove non puoi girare un angolo che qualcuno, o Joyce (che poi è lo stesso Joyce di Trieste) o Shaw o Beckett o Wilde o chi vogliamo, ci ha camminato o amato o addirittura preso una sbronza.
Insomma un po’ troppi scrittori ci hanno posato il cappello, e non c’è scoperta che non abbia il sapore del trovarobato, almeno per me, che non vivo la città, che non la abito: come fosse una canzone bellissima ma cantata troppe volte.
Ed ecco che preso da questi pensieri mi sono ricordato di quando, giovane studente di giurisprudenza a Trieste sono andato dai miei vicini di casa ottantenni, alle quattro di notte, a chiedere se potevano abbassare il volume delle canzoni di liscio romagnolo che ballavano urlando come forsennati, perché il giorno dopo avevo un esame.
Ricordo che non hanno abbassato il volume, e che mi hanno chiesto se volevo ballare, e ho ballato anch’io, questo lo ricordo bene, con una signora in carne, fino ad addormentarmi. Ecco forse è così, forse Trieste ti chiede una prova di appartenenza, e forse non tutti riescono a ballare il liscio alle quattro di notte. Io probabilmente sono invecchiato, ma non da triestino che più invecchia e più è gagliardo. Sono invecchiato da uomo di pianura, sconfitto dalla nebbia. Forse Trieste è stata una possibilità di quando ero giovane, o forse no, o forse qualcuno questa cosa l’ha già detta. E torniamo daccapo. –
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