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“Occhi mediterranei” di tre autori nel mare la loro casa comune

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Abbiamo completamente dimenticato che siamo mediterranei. Per chi nasce, cresce e vive vicino al mare è una condizione normale. Ma se un giorno dovesse abbandonare quel mare, esso eromperebbe nel suo animo come un’essenza spirituale facendolo sentire parte di un destino comune più grande. Perché il Mediterraneo è sempre stato il destino dei popoli che vi hanno vissuto. E proprio ora che ci siamo globalizzati e abbiamo solcato altri mari, chi ne vive lontano sente la nostalgia del ritorno.

Christofe Palomar, Rosanna Turcinovich Giuricin e Dario Fertilio con “Occhi mediterranei” (Pendragon, pagg. 264, euro 16) hanno guardato indietro, nella profondità delle loro esistenze, per farvi emergere i sentimenti comuni.

Domani, al Circolo della Stampa di Trieste, Marina Silvestri e Pierluigi Sabatti presentano alle 17.30 il libro. Nel titolo del racconto di Christophe Palomar “Il ritorno impossibile” c’è la convinzione che si ama il Mediterraneo come si ama una donna e proprio per questo non vi si può ritornare. «Sono nato in Alsazia da padre italiano e madre spagnola e ho sentito parlare tutta la mia infanzia del Mediterraneo. Mi chiedevo: che mare può essere un mare che nel suo nome contiene la parola terra? Un mare di mezzo, come un grande lago?». Poi a otto anni, con il trasferimento della famiglia in Tunisia, quel mare l’ha conosciuto, ma la vita l’ha portato di nuovo lontano, lasciando nella sua memoria conchiglie di ricordi, abbandonate nel bagnasciuga da onde amorose.

“Una casa in fondo al mare” per Rosanna Turcinovich Giuricin è stata la casa della sua infanzia a Rovigno che si affacciava su un orizzonte dove l’italianità del suo cuore non subiva confini. E allora quella liquidità generosa le portava in casa pesciolini prelibati che le sapienti mani della madre trasformavano in un mosaico di sapori. E per la piccola Rosanna l’Adriatico era «un mare di piacere». Ma c’era il comunismo jugoslavo: «Tutto era stato messo in discussione: la nostra storia, l’esistenza, i diritti, la legittimità dei nostri cognomi, la coscienza nazionale. A scuola tutte le cose erano sotterranee, dovevamo imparare a destreggiarci negli spazi della nostra identità». Un racconto struggente di come gli italiani, che avevano scelto di rimanere, erano costretti a vivere. Ma il mare l’estate richiamava i parenti esuli ricomponendo famiglie ed affetti. Un giorno Rosanna decide di trasferirsi a Trieste da parenti e scopre le storie laceranti di zie e cugine che nell’esodo avevano salvato l’italianità ma perso un amore. E arrivate in Italia erano state considerate straniere, come lei nella propria terra istriana. «Il mare è l’unica casa perchè andarsene preclude il ritorno».

“Troppo lontano dal mare” è il titolo del racconto in parte autobiografico di Dario Fertilio. «Sono sempre vissuto lontano dal mare, ma esso è presente da sempre nelle cose che ho ereditato da mio padre. Per me è assenza spirituale». Un’assenza che un giorno il protagonista decide di colmare portando in Dalmazia una giovane fidanzata bielorussa, che rappresenta l’altrove. «Come diceva il mio maestro Enzo Bettiza, noi dalmati soffriamo del complesso di Diocleziano. Arrivati a una certa età, sentiamo il bisogno di insabbiarci in riva al mare per godere l’ultima parte della nostra vita. Tra una donna e il mare scegliamo infine il mare». Quasi che lontani dal mare non si possa davvero amare. —



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