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C’era Diego de Henriquez dietro l’impresa del batiscafo Trieste sul fondo del pianeta

Enrico Halupca ricostruisce la vicenda in un libro che si presenta oggi al Savoia. E uno sceneggiato radio rilancia l’avventura

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TRIESTE Il 23 gennaio del 1960 Trieste legò il suo nome a una della più grandi imprese esplorative della storia. Quel giorno il batiscafo “Trieste” scese per la prima volta nel punto più profondo del pianeta Terra, toccando i -10916 metri nella Fossa delle Marianne. A bordo del battello c’erano Jacques Piccard, figlio di Auguste, l’ideatore del batiscafo, e Don Walsh, ufficiale della Marina degli Stati Uniti. Lo scafo del “Trieste” fu costruito nel cantiere navale di San Marco dei Cantieri Riuniti dell'Adriatico, e anzi l’intera operazione di progettazione del batiscafo fu concepita e realizzata a Trieste, con l’aiuto e l’appoggio di enti, aziende e persone che collaborarono per consentire ad Auguste e Jacques Piccard di portare a termine la grande impresa. È una storia strettamente legata a Trieste ma, curiosamente, poco ricordata dalla città, che al contrario avrebbe tutti i titoli per dedicare a questo importante capitolo dell’esplorazione un evento museale e non solo.

Ora un libro e uno sceneggiato radiofonico rilanciano la storia del “Trieste” e dei suoi stretti legami con la città. A cominciare dalla figura del collezionista Diego de Henriquez, che fu motore primo negli sforzi di portare il progetto del batiscafo a Trieste. Enrico Halupca, saggista, archivista e fotografo, ha scandagliato archivi e memorie, ha letto i diari ancora inediti di de Henriquez, e ha ricostruito nel dettaglio i rapporti fra i Piccard e il collezionista, allora infaticabile promotore di idee e iniziative - a partire dal suo Museo Storico, oggi civico Museo di guerra per la pace - che potessero tenere alta l’alabarda nel mondo. Il risultato di queste ricerche è il libro “Il Trieste”, pubblicato dalla Italo Svevo di Alberto Gaffi in collaborazione con l’Accademia degli Incolti (pagg. 152, Euro 14,00), con una postfazione di Riccardo Scarpa. Il libro sarà presentato oggi, alle 17.30, all’Hotel Savoia a Trieste, in collaborazione con Mare Nordest e Fare Ambiente, con un intervento di Francesco Russo e la proiezione del filmato “Il Trieste” di Enrico e Francesco Halupca.



Che de Henriquez avesse collaborato attivamente alla realizzazione del “Trieste” si sapeva, tutte le cronache dell’epoca non perdono occasione per ricordarlo. Ma come nacque e continuò il rapporto fra l’originale studioso triestino e i due grandi esploratori ancora non si sapeva. Ci ha pensato Halupca, in un racconto a metà fra il saggio e il pamphlet, a riannodare i fili di questo rapporto fra due grandi visionari. Fu il figlio di Auguste, Jacques, nel 1948, a capire per primo che Trieste poteva essere il posto adatto per portare avanti il progetto di un batiscafo con equipaggio in grado di resistere alle incredibili pressioni delle massime profondità. Arrivato in città - allora Territorio libero governato dagli anglo americani - per concludere la tesi di dottorato in economia, il giovane Jacques incontra «forse su invito di un conoscente(...) oppure si tratta solo di un caso fortuito» de Henriquez, gli parla del progetto del padre e lì scatta la scintilla. Da quel momento de Henriquez si fa in quattro per aiutare i Piccard, fornendo anzitutto un’«abbondante documentazione» sulla città e le sue potenzialità economiche. De Henriquez, che pure «all’epoca non navigava in buone acque economiche», si impegna a fondo muovendo tutte le sue conoscenze, mentre Piccard gli promette che dopo l’impresa donerà il batiscafo al suo museo (promessa sfumata dopo la vendita del battello alla Marina Usa: oggi è esposto al Museo Navale di Washington).

Fra il novembre del 1951 e il gennaio del 1952, scrive Halupca - «si assiste a una lunga fase preparatoria per mettere a punto la strategia migliore per far decollare dal TLT il progetto del Batiscafo Trieste». I Cantieri Riuniti dell’Adriatico mettono a disposizione i loro migliori progettisti, la Fiat, La Magneti Marelli, la Raffinaeria Aquila, il Cnr e la Esso figurano già tra gli sponsor più importanti. Alla fine l’avventura del “Trieste” avrà successo e, con il successo, risonzana mondiale. Nei suoi libri Auguste ricorderà sempre come “mio figlio Jacques ed io accettammo la proposta giunta da Trieste, per iniziativa del prof. Diego de Henriquez, direttore del Museo Storico, di costruire un nuovo batiscafo che avrebbe portato il nome della città”.

Ma se de Henriquez fu il motore primo dell’operazione “Trieste”, altri personaggi in città, spesso pur restando nell’ombra ebbero un ruolo importante. Come, fra gli altri, Yolanda Versich Agoral, polesana che lavorava come segretaria di Franz Kind, industriale di origine austriaca che stava costruendo la Raffineria Condor a Rho. Yolanda conobbe Jacques Piccard per caso a Milano, e tra i due nacque un’amicizia destinata a durare tutta la vita. Anche lei, muovendo le sue conoscenze in campo industriale a Trieste, diede una buona mano ai Piccard, tanto da portare Auguste a ventilare, forse in una forma di estrema cortesia, la possibilità di battezzare il batiscafo con il suo nome. Nel 2009, dopo la morte di Jacques, Yolanda Versich raccontò la sua storia in un’intervista a “Il Piccolo”. Ed è a partire da quella intervista che Elke Burul ha tratto lo sceneggiato radiofonico “La donna del batiscafo Trieste”, con interpreti Ariella Reggio, Lorenzo Acquaviva, Gualtiero Giorgini, Maurizio Zacchigna, Lorenzo Zuffi, Francesco Godina e la stessa Burul, per la regia di Stefania de Maria, che andrà in onda in tre puntate a partire da domenica alle 9.15 su Radio Rai Regione.

Un’altra storia di collaborazione e amicizia nata all’ombra di un grande sogno che portò il nome di Trieste nel mondo. —
 

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