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I dodici canti di de Banfield

Oggi alle 17.30 al Conservatorio Tartini si presentano i suoi brani inediti per voce e piano

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Avremmo ancora bisogno di persone come lui, di chi da una parte può permettersi di essere un sognatore per privilegio di nascita, ma dall’altra coinvolge chi gli sta intorno nella ricerca del bello e riesce a condividere la propria passione ed erudizione mettendole al servizio della città. Domani - il 2 giugno - Raffaello de Banfield avrebbe compiuto novantasei anni. Quest’anno si ricorda il decennale della sua scomparsa, conclusione di una ben nota parabola dagli ambienti intellettuali più esclusivi al declino della storica azienda di famiglia. Votato fin da giovanissimo all’estetica e alla trasparenza dei rapporti più che alle strategie dell’economia, ha intrapreso un percorso autonomo in una famiglia di armatori e militari che si sono arresi alla sua caparbietà nel coltivare la passione per la musica.

Cosmopolita, mecenate, per ventiquattro anni memorabile direttore artistico del Teatro Verdi di Trieste, ma anche direttore del festival di Spoleto, studia composizione con Malipiero a Venezia, con Levi a Trieste. Sono state rappresentate in tutto il mondo le sue opere liriche (Lord Byron, Alissa, Colloquio col tango) e i balletti (Le combat con le coreografie di Petit). Dagli archivi emergono e sono state date quest’anno alle stampe dodici liriche per canto e pianoforte, tutte ancora inedite tranne una, testimonianza dei suoi primi esperimenti di composizione e che già rivelano l’interesse per generi che uniscono arti diverse, la parola e la musica, con un pensiero rivolto alla sua grande passione di sempre: il teatro musicale. Alcune di queste liriche hanno il merito di averlo fatto notare e invitare a Parigi per proseguire gli studi con la grande Nadia Boulanger.

Le liriche, edite da Pizzicato, derivano da manoscritti conservati per volontà del barone stesso al Museo Schmidl e nell’archivio privato di Villa Tripcovich e rappresentano l’integrale della sua produzione per questo organico, come ci spiega il curatore della raccolta Elia Macrì: «Le liriche appartengono al suo primo periodo di attività compositiva, dal 1941 al 1949. Possono essere considerate esercizi di stile del ventenne musicista che aspirava al teatro. Risentono dei modelli di Tosti e Puccini, a metà strada tra la musica da camera e l’espressione operistica. Scritte in anni di catastrofe per il mondo intero, se ne allontanano per rifugiarsi nella dolcezza, nei versi di Pascoli, Joyce, Saba. De Banfield non si limita a rivestire le parole di belle melodie, ma si preoccupa di elaborare accompagnamenti pianistici ben predisposti, con interessanti descrizioni d’ambiente».

Per il giovane Macrì l’incontro con il barone è stato la realizzazione di un desiderio coltivato a lungo: «Quando è stata inaugurata la Sala Tripcovich ne ho sentito parlare molto in famiglia: ero un bambino, ma per me era diventato oggetto di ammirazione e ho pensato di inviargli gli auguri di Natale, ringraziandolo per il bel gesto di aver donato alla città un luogo per fare musica. Mi ha risposto con una lunga lettera e si è ricordato di me quando diversi anni dopo l’ho contattato per conoscerlo di persona. Siamo andati a trovarlo con altri due amici musicisti per un’intervista che avremmo registrato. Poi sono ritornato altre volte, magari per commentare l’opera vista la sera prima o farmi raccontare delle sue grandi esperienze del passato. Avevo diciotto anni e amavo ascoltare gli aneddoti di un personaggio che è stato testimone di eventi culturali fondamentali e amico di artisti entrati nella leggenda. Per lui era normale parlare davanti a una tazza di tè delle sue frequentazioni con la Callas, Stravinsky o von Karajan, che avrebbe dovuto essere suo testimone di nozze...».

La presentazione della raccolta, promossa dall'associazione benefica Goffredo de Banfield, verrà ospitata oggi alle 17.30 dal conservatorio Tartini di Trieste: prevede una prolusione del musicologo Gianni Gori e l’interpretazione di alcuni brani dalla raccolta a cura dell’amatissima Daniela Mazzucato (accompagnata al pianoforte dallo stesso Macrì) che è stata legata a de Banfield da lunga amicizia, come ricorda con affetto: «Era una persona di gentilezza e delicatezza rare. Queste liriche parlano per lui perché sono brevi ma piene di intensità, di un sentimento innocente, come quello che emanava quando era in teatro».

A colazione da Greta Garbo a New York, in una villa con i duchi di Windsor, a colloquio con Tennessee Williams, come ricorda la sorella Maria Luisa (che sarà presente all’evento), il barone de Banfield aveva avuto la possibilità, oltre che l’inclinazione, di essere un esteta e un idealista. «Era una persona che credeva in quello che faceva con la certezza che la bellezza potesse salvare il mondo», conclude Macrì. «Un signore d’altri tempi che non sarebbe sopravvissuto alle dinamiche opportunistiche dei nostri giorni. Ha lasciato un segno nella vita culturale della città, ma i giovani come me probabilmente non ne sanno nulla. Questo anniversario potrebbe diventare l’occasione per un’iniziativa che ne perpetui la memoria, magari dedicandogli una via in città». ©RIPRODUZIONE RISERVATA

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