Così a Gorizia arrivò il primo telefono
Il gruppo di Nello Cristianini all’Università di Bristol analizza il periodo 1873-1914 con la tecnologia digitale

Cosa possiamo imparare dalla lettura di 47 mila pagine di giornali vecchi oltre un secolo? La domanda sembra futile, visto che nessuno può praticamente accedere a quei contenuti. E invece è stata una delle domande che hanno guidato la ricerca del mio gruppo all’Università di Bristol negli ultimi anni. Dopo avere creato strumenti informatici per analizzare tutti i giornali britannici per un periodo di 150 anni, e quelli americani per un periodo di oltre 50 anni, e i contenuti di 8 anni di Twitter, recentemente abbiamo rivolto la nostra attenzione alla stampa storica di Gorizia.
Perché studiare giornali storici, perché studiarli su questa scala, e perché proprio Gorizia? La scelta non è dovuta solo al fatto che Gorizia è la mia città, ma a una serie di circostanze che la rendono un modello interessante per progetti ancora più ambiziosi, su scala europea. I suoi giornali in italiano non erano ancora stati digitalizzati, ma sono perfettamente preservati nella Biblioteca Statale Isontina, in forma di microfilm, mentre i suoi giornali sloveni sono già stati digitalizzati dalla Biblioteca Digitale Slovena. La sua natura bilingue la rende un buon modello di studi su scala europea, e le caratteristiche culturali e sociali di questo microcosmo, nel periodo straordinario tra il 1873 e il 1914, la rendono di una particolare rilevanza per le sfide che ci troviamo ad affrontare adesso. Infatti, l’ansia che sentiamo in questi giorni, di rapido cambiamento tecnico e sociale, non era estranea ai nostri concittadini di quei tempi, e lo studio del passato ci può aiutare ad affrontare il futuro, almeno con la consapevolezza di non essere i primi.
E così è particolarmente stimolante che proprio le tecnologie digitali, alla base di tante ansie moderne, siano anche la chiave di un nuovo modo per interrogare il nostro passato. L’idea alla base di questo tipo di studi è che ci sono delle informazioni nei cambiamenti statistici dell’uso delle parole, che riflettono cambiamenti più profondi, sociali e culturali, che non possono essere altrimenti individuati. Questi segnali statistici possono poi guidare la ricerca degli storici. Combinando tecniche di archivistica, informatica e storiografia, è possibile volgersi con occhi nuovi al nostro passato, interrogandolo da una diversa prospettiva, arricchiti da una più profonda comprensione degli avvenimenti.
Abbiamo trasformato 42 microfilm contenenti le immagini di 47 mila pagine di giornale in altrettante immagini digitali, con l’aiuto dei laboratori della British Library a Boston Spa, e abbiamo poi processato quelle immagini a Bristol per estrarre in forma digitale il contenuto dei due giornali italiani, ottenendo 110 milioni di parole. Abbiamo poi unito questo testo ai contenuti – già esistenti a Lubiana – dei giornali di lingua slovena. Il risultato è stato 180 milioni di parole, la cui sola prima lettura richiederebbe 8 anni di lavoro costante a una persona.
Gorizia era all’epoca il capoluogo di una provincia che includeva Caporetto e Grado, seguendo l’Isonzo, e in quegli anni aveva diversi giornali, i più longevi dei quali erano l’Eco del Litorale, Il Corriere di Gorizia (poi Corriere Friulano), Soca, Gorica e Primorski List. Ed era una regione dell’impero Austro-Ungarico, al confine col Regno d’Italia. Erano tempi di rapido cambiamento, c’erano nuove idee politiche, nuove tecnologie, nuove preoccupazioni. L’uso di strumenti informatici ha permesso di individuare parole che rappresentano avvenimenti trattati dalla cronaca, l’emersione di nuove tecnologie o di nuove idee durante i 41 anni del periodo.
Per esempio, quando si incomincia a parlare di socialismo, o di democrazia? O di questioni etniche? Come sono state accolte le nuove tecnologie? Vediamo dunque l’arrivo del telefono tra gli anni Ottanta e Novanta dell’Ottocento (installato a Gorizia nel 1894), quello del cinema (nel 1897 con le prime proiezioni itineranti e poi nel 1905 con le sale permanenti) e della bicicletta a partire dal 1895, la comparsa dell’automobile e degli aeroplani tra il 1900 e il 1910. Usando questi segnali statistici è stato possibile individuare rapidamente articoli di interesse storico relativi al fenomeno studiato, e così leggere delle speranze ma anche delle ansie che emergevano a seguito delle prime automobili (polvere, rumore e puzza), dei telefoni (ironia sulle donne al telefono), e delle biciclette (ciclisti spericolati).
Scrive il Corriere di Gorizia a proposito del telefono: Si potrà d’ora poi in tenere un colloquio fra due persone a oltre 2600 miglia l’una dall’altra parlando 120 parole al minuto, cioè due parole al minuto secondo, rapidità considerevole per le lingue femminili (“Un telefono transatlantico”, 15/09/1883, pag. 3). Questo suona sessista a delle orecchie moderne, ma ricordiamo anche che il giornale era diretto dalla prima donna italiana in questo ruolo, Carolina Luzzatto. Lo stesso giornale annuncia qualche anno dopo l’avvistamento in città di un’automobile. Ieri girava per la nostra città un automobile che attirava lo sguardo e l’attenzione di tutti. Era montato dei due signori fratelli conti Giulay, i quali avevano fatto su quello il viaggio da Vienna. Questo automobile, uno dei più perfetti che esistano, impiega due minuti per ogni chilometro in pianura (“Un automobile modello”, 06/12/1898).
Nello stesso periodo si diffonde anche l’uso della bicicletta, creando altri problemi. Non vi è che una una voce per dire il malumore contro questa strana indifferenza dei velocipedastri e della calma con cui procede l’autorità nel porvi freno. Tutti i giorni si deplorano fatti gravissimi. L’altro ieri in Piazzutta mancò poco che una ragazza fosse vittima della corsa sfrenata di un velocipedista (“Lo spavento delle famiglie”, Il Corriere di Gorizia, 25/08/1898, pag 2).
È anche interessante notare fra le fonti adoperate nella ricerca l’uso di registri catastali di epoca austroungarica, per estrarre i nomi di tutte le località della Contea, e poi controllare quali fossero le più menzionate nelle diverse testate: un esercizio che ci mostra come – pur stampati nella stessa città – i giornali delle due comunità privilegiassero aree diverse: l’una l’Alto Isonzo, l’altra il Basso Isonzo. Analogamente, eventi naturali quali i terremoti, venivano riportati seguendo gli orientamenti etnico-linguistici: i giornali di lingua slovena dedicarono più spazio al terremoto di Zagabria del 1880, quelli italiani al terremoto di Messina del 1908, (e anche a quelli di Ischia, Sanremo e Calabria, negli anni precedenti). Entrambi ovviamente dedicarono grande attenzione al terremoto di Lubiana del 1895, come anche a quello di San Francisco del 1906.
L’entusiasmo per i grandi cambiamenti tecnologici, si mescolava anche con l’ansia derivata da altri mutamenti. Anche allora la città affrontava grandi transizioni, in quel caso legate alla piccola rivoluzione industriale che si stava svolgendo e che attirava in città manodopera dal circondario. E così vediamo l’inizio di preoccupazoni sociali ed etniche, con parole come “italiano” e “sloveno” che aumentano di frequenza, ma anche “socialismo” e “suffragio”. È particolarmente interessante leggere questi risultati, sapendo che quelle tensioni sociali e quelle nuove tecnologie – presenti in scala più ampia nell’intero Impero – avrebbero presto condotto verso l’infelice avventura della guerra.
La tecnologia non fu l’unica causa di ansia. In occasione del passaggio della Cometa di Halley nel 1910, chiaramente individuato dall’analisi statistica dei giornali, si trova un articolo interessante sull’Eco del Litorale: La paura della cometa – La fine del mondo! – La comete di Halley ha destato terrore fra le popolazioni rurali slovene e croate della Carniola, del territorio di Trieste e della Dalmazia. Secondo rapporti pervenuti al Governo, la paura è così grande e la convinzione del prossimo finimondo così diffusa che parecchi contadini pensano di vendere i loro beni e di darsi alla pazza gioia che tanto fa lo stesso (Eco del Litorale, 1910). Applicate nel modo giusto, le nuove tecnologie digitali ci possono indicare un nuovo modo per interagire con il passato. L’uso di informatica e statistica non è inteso a rimpiazzare il ruolo dello studioso umano, ma a consentire alle persone di esaminare masse di dati che sarebbero impensabili senza i metodi di umanistica digitale. La nascente disciplina, poi, ha una storia particolarmente legata all’Italia: fu fondata dal gesuita Padre Roberto Busa negli anni 1940 (che usava macchine Ibm per analizzare le opere di San Tommaso), ed è poi stata adottata da studiosi internazionali come Franco Moretti a Stanford e Roberto Franzosi a Emory University. Oggi, le tecniche di Intelligenza Artificiale del gruppo di Bristol contribuiscono su più fronti all’evolversi di tale disciplina.
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