Fra rocce e trincee scatti senza tempo sulla Grande guerra
Rocce, neve, scale di ferro sospese nel vuoto, avanzi di trincee, pietrame aguzzo e franto. Immagini catturate in una luce fredda, in un plumbeo chiaroscuro e private di ogni presenza umana, con la...

Rocce, neve, scale di ferro sospese nel vuoto, avanzi di trincee, pietrame aguzzo e franto. Immagini catturate in una luce fredda, in un plumbeo chiaroscuro e private di ogni presenza umana, con la guerra che ha spazzato via tutto. L’obiettivo di Alessio Franconi è abile a suggerire atmosfere gelide e desolate negli scatti del suo “Si combatteva qui! Nei luoghi della Grande guerra” (Hoepli, pagg. 147, euro 29,90). Un libro fotografico che nasce da una mostra, allestita per la prima volta a Milano nel 2015 al Museo del Risorgimento di Milano, e successivamente portata in altre sedi, sia in Italia che in Europa. Il libro sarà presentato lunedì 26 febbraio alle 18 alla Libreria Lovat di Trieste da Fausto Biloslavo assieme all’autore. Franconi non ha preclusioni sul mezzo fotografico da utilizzare, e in base alla mobile photography passa da una reflex con diverse ottiche, a una compatta, fino a una Go Pro e alla macchina fotografica del cellulare. Sorprende con l’uso sapiente del bianco e nero, che riesce a dare continuità tra le foto d’epoca impaginate all’inizio del volume e quelle scattate da lui, negli stessi luoghi che furono percorsi dal fronte, raggiunti per vie impervie, proprio come quei soldati lontani, a volte con marce di più giorni, in montagna, sulle crode più remote delle Dolomiti oppure sui monti dei Carpazi. Appassionato di montagna, tanto da aver fatto il militare da volontario nel corpo degli Alpini, Franconi ha percorso i luoghi più significativi lungo i 600 km del fronte dalle Alpi alla Galizia, passando per la Carnia, il fronte dell’Isonzo e, seguendo la coda di questo lungo serpente, fino alle pianure dell’est, alla Siberia, alle lande sconfinate di neve, ai fiumi ghiacciati. Ha dovuto sfidare temperature estreme e difficoltà legate alle luci e ai contrasti tipiche delle montagne per arrivare fino ai tremila metri e trovare ancora il legno dei baraccamenti, il ferro delle granate, i fili spinati, i bunker.
Un museo a cielo aperto che non molto tempo fa, negli anni Novanta, gruppi di ambientalisti, ricorda non senza polemica nell’introduzione al volume Marco Ferrari, pensavano di eliminare perché deturpavano le Alpi. Ma dal 2001 una legge tutela il patrimonio storico della prima guerra e ha consentito di mettere a nuovo diversi tratti del fronte alpino, come i mille chilometri di sentieri dedicati che si trovano sulle Dolomiti. Lo sguardo di Franconi indugia sui contenitori che si trovano sul monte Pasubio, predisposti per riporre i resti umani che ancora oggi gli escursionisti possono rinvenire, sulle trincee avversarie poste a meno di una ventina di passi a Pal Piccolo, a pochi passi da Timau, in Carnia. L’obiettivo coglie il cimitero militare italiano di Budapest, il sacrario di Redipuglia, si alza in volo sulle cime delle Dolomiti, plana nelle piccole città della Galizia, naviga le anse dei fiumi e degli acquitrini tra Polonia e Ucraina. Un volume che si immagina costato tempo e fatica e che non è solo fotografico. Lo si può consultare anche come un agile manuale, che ripercorre gli avvenimenti principali del conflitto, un piccolo ma utile corredo storiografico per rinfrescare o conoscere ex novo avvenimenti che hanno segnato la vita di milioni di persone. È il caso dei bisnonni dell’autore, entrambi caduti in guerra, sul Carso, il fratello di uno dei quali morto anch’egli nell’inutile strage, sul monte San Michele. E commuove la foto della nonna ultracentenaria che oggi, in un bianco e nero senza tempo, tiene tra le mani rugose la medaglia al valore del padre, morto a Nova Vas, a pochi passi da Malchina.
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