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Strehler e Brecht e la guerra fredda tra i teatri d’Italia

Il triestino Alberto Benedetto ricostruisce la storia che mise il Piccolo di Milano contro tutti

3 minuti di lettura

di ROBERTO CANZIANI

Tutto comincia con un biglietto. "Caro Strehler, mi piacerebbe affidare a lei per l'Europa tutte le mie opere, una dopo l'altra". La firma è quella di Bertolt Brecht. La data il 10 febbraio 1956. Il drammaturgo tedesco è a Milano. Proprio quel giorno ha compiuto gli anni: 58. La sera stessa ha assistito al debutto della sua "Opera da tre soldi" nella sala di Via Rovello. Hanno faticato per anni, Giorgio Strehler e Paolo Grassi, i fondatori del Piccolo Teatro, per allestire un lavoro di Brecht in Italia. Finalmente quella sera il progetto è arrivato a compimento.

Sessant'anni dopo, adesso, un'altra "Opera da tre soldi" sta andando in scena al Piccolo Teatro di Milano. Non siamo più in via Rovello, ma nella grande sala di largo Greppi. La regia non è di Strehler, ma di Damiano Michieletto. E su Brecht e sulle sue opere si sono intanto accumulati questi sessant'anni di storia.

Un libro appena pubblicato, scritto da Alberto Benedetto che è il direttore di produzione al Piccolo Teatro (edizioni Mimesis, 18 euro), sembra quasi riprendere in mano quel biglietto e raccontare, carte alla mano, tutti questi decenni, in cui il nome di Brecht e quello del Piccolo sono stati, in Italia, il segno di una simbiosi. Che tanti spettacoli ha poi prodotto - dall'indimenticabile "Vita di Galileo" a "L'anima buona di Sezuan" ai "Song" cantati da Milva - ma che si fondò su un equivoco e scatenò nella Italia post-bellica del boom, una silenziosa e micidiale guerra fredda delle scene. "Brecht e il Piccolo teatro. Una questione di diritti" è il titolo del volume che, quasi fosse un giallo, guida il lettore nel labirinto di una vicenda utile a ricordarci che il teatro, come la maggior parte delle arti, è anche sistema e organizzazione, mercato e guerra di posizione.

Torniamo a quella sera del '56. Nina Vinchi, segretaria generale del Piccolo Teatro, osservò con attenzione Brecht: «in sala, quando è entrato, non l'ha riconosciuto quasi nessuno. Si muoveva nel corridoio con il fare di chi chiede scusa per il disturbo, chiuso in una giacca grigia, abbottonata alla russa, capelli radi e corti, lo sguardo lucido e intenso. Senza sorriso. Lo spettacolo durò quasi fino alle due di notte… Li ritrovai soli, Brecht e Strehler, seduti uno di fronte all'altro. Erano semplicemente in silenzio... come due che l'hanno scampata…».

Quell'”Opera da tre soldi” fu un successo enorme. Brecht ne rimase entusiasta. Scrisse a Paolo Grassi: «Lo spettacolo è magnifico. Molte grazie». Mentre a Strehler indirizzò quel biglietto: «…mi piacerebbe affidare a lei per l'Europa…». Preso tra le mani oggi - dice Benedetto - quel pezzo di carta «sembra una formula per testimoniare l'apprezzamento per il lavoro svolto dal regista triestino, più che una delega per il futuro». Ma su quelle due righe scritte la sera stessa, in fretta, Strehler e Grassi seppero costruire un impero. Il primo, considerandolo una sorta di testamento che gli affidava il primato sulle opere brechtiane in Italia e in Europa (sei mesi dopo, il 14 agosto, Brecht moriva, a 58 anni). Il secondo, assumendolo co. me dimostrazione che era nelle intenzioni Brecht fare del Piccolo Teatro il "Zentrum" per la tutela e la conservazione di una sorta di "eredità morale".

Da quel biglietto, la rigorosa ricerca di Benedetto insegue tutte le tracce epistolari che, lungo decenni, hanno visto Grassi difendere con la forza di un carro armato e la precisione di un lanciamissili, il "protettorato" italiano del Piccolo Teatro su Brecht.

Alberto Benedetto è cresciuto a Trieste e qui si è laureato in Storia contemporanea. Alcune esperienze in teatro, prima al Verdi, poi al Mittelfest di Cividale, sono stati punti di avvio per arrivare, attraverso gli anni milanesi di Luca Ronconi, ai ruoli di responsabilità organizzativa del Piccolo. Da quella plancia di comando che Paolo Grassi teneva saldamente in mano, l'autore del libro ricostruisce il tessuto fitto di lettere che Milano scambiò con Helene Weigel, la vedova di Brecht, e la direzione della casa editrice tedesca Suhrkamp. Inviti, richieste, rifiuti, suadenti formule di cortesia, concessioni. Altre volte delazioni (su recite brechtiane allestite in Italia all'insaputa degli eredi), veti, censure preventive, giudizi non sempre credibili sugli altri teatri, sugli altri interpreti. A proposito dello Stabile di Genova, che avrebbe voluto allestire "Il signor Puntila e il suo servo Matti": "la sua ultima stagione è stata pessima e la direzione non offre sufficienti garanzie". Su quello di Bolzano: "è un organismo teatrale di modestissime e mediocrissime proporzioni. E poi: "quel grosso pasticcio che Gassman ha messo in piedi non è stato utile per Brecht". Più tranciante ancora il giudizio su Tino Buazzelli, che dopo essere stato il gigante Galileo aveva, secondo Grassi, tradito il Piccolo Teatro "lasciandosi andare a confessioni ai giornali del Vaticano e accusando il Piccolo di fare un teatro di sinistra. Penso che anche lei conosca - scrive Grassi al direttore delle Edizioni Surhkamp, amministratore dei diritti - gli eccessi, le pazzie e le volgarità di certi attori".

Il lavoro negli archivi (quello del Piccolo è ricchissimo e bene organizzato) spesso consiste in una vera e propria indagine poliziesca, che può condurre, come in questo caso, a esiti clamorosi.

A Trieste, nelle sale di Palazzo Gopcevich che danno sul Canale, esiste ed è altrettanto ben organizzato il Fondo Strehler, 148 cartolari che raccolgono ciò che le eredi del regista - Andrea Jonasson e Mara Bugni - hanno congiuntamente donato al Comune di Trieste, assieme ai 4000 volumi della sua biblioteca e a numerosi effetti personali. Affrontare quelle carte, come hanno fatto già alcuni studiosi, potrebbe svelare altri scenari inediti sulla vita e la poetica del regista, sulla stessa storia del teatro italiano. Oltre a dimostrare che il lavoro della scena, non è come a volte si pensa, solo questione di interpretazione e privilegio d'arte. Ma un silenzioso indispensabile lento lavoro di gestione e organizzazione.

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