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Le memorie di Pagnini: «Così ho difeso Trieste»

Le edizioni Drogheria 28 pubblicano il secondo volume dell’autobiografia del podestà durante l’occupazione nazista

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«Criminale di guerra, la foiba ti attende». È l’autunno del 1945, e da 76 giorni Cesare Pagnini, ormai ex podestà di Trieste durante l’occupazione nazista della città, è rinchiuso in carcere, prima in via Tigor ora al Coroneo, in attesa di essere processato per collaborazionismo. Ha appena finito di scrivere le sue memorie, siglando il testo con la frase che tante volte, mentre era nelle carceri di via Tigor, sentiva gridare quando battevano alla porta della sua cella: «Criminale di guerra, la foiba ti attende».

Dal canto suo, Pagnini si è già assolto: «Ho compiuto il mio dovere fino in fondo senza lasciarmi andare a debolezze, e se questo mi può costare anche condanna infamante venga pure...». Non verrà: il 27 novembre 1945 la Corte Straordinaria d’Assise di Trieste assolverà Pagnini «perché i fatti a lui attribuiti non costituiscono reato» (sarà però epurato dalla professione di avvocato per un anno). A suo favore hanno deposto alcuni illustri antifascisti e resistenti come Antonio Fonda Savio, Ercole Miani e Carlo Schiffrer. Eppure fino alla sua morte, nel 1989, nonostante la fama e i meriti di studioso e letterato, Pagnini sarà accompagnato da un’ombra scura, e la sua «accettazione dell’incarico e la sua pretesa di agire fino alla fine in autonomia (...) rispetto al Cln paiono ancora a molti discutibili». Lo dice Franco Richetti firmando l’introduzione al secondo volume delle “Memorie” di Pagnini, pubblicate dalla Libreria Antiquaria Drogheria 28 di Simone Volpato a cura di Antonio Trampus (pagg. VIII- 178, euro 15,00). Il volume segue il primo tomo uscito l’anno scorso, che raccoglieva i ricordi legati alla Prima guerra mondiale (Pagnini fu protagonista della battaglia di Vittorio Veneto nelle fila dell’esercito austroungarico con azioni di spionaggio a favore di quello italiano) e alla campagna d’Albania, ed è dedicato al ritorno a Trieste, all’occupazione tedesca e ai processi. Perciò oltre al memoriale il volume contiene documenti quali la sentenza della Corte Straordinaria d’Assise, le deposizioni dei testi, appunti, lettere e persino un sondaggio di Pier Paolo Luzzatto-Fegiz, datato 1945, sulle reazioni dell’opinione pubblica al processo per collaborazionismo, da cui risulta che la maggioranza dei triestini era favorevole all’assoluzione (54,9 %, 31,4% gli sfavorevoli).

Nel complesso questa seconda parte delle “Memorie”, che tocca gli argomenti più delicati e controversi non solo della vita dell’avvocato e studioso, ma della storia recente della città, è un’articolata autodifesa che ha come scudo principale la costituzione della Guardia civica, la milizia cittadina che il podestà istituì con lo scopo dichiarato di coadiuvare le forze germaniche sul territorio, e quello non dichiarato - spiega nelle memorie - di evitare deportazioni e lavori coatti, e in sostanza mobilitare un gruppo armato a difesa di Trieste, sia contro i tedeschi sia contro i partigiani slavi e in appoggio agli alleati, una volta arrivata la resa dei conti. La difesa del Municipio contro tutto e tutti: è questa la leva e l’avamposto difensivo di Pagnini, come emerge in particolare dalle pagine sui concitati momenti della sollevazione contro i tedeschi, mentre neozelandesi e partigiani titini facevano a gara correndo da opposte direzioni per arrivare primi a Trieste: «Finalmente - scrive Pagnini - i vari fili che avevo accuratamente gettato in un anno e mezzo dovevano venire a capo, finalmente potevo gettar giù la maschera...».

Al di là del giudizio storico o morale che il singolo lettore può dare a queste memorie, il testo di Pagnini è un tassello importante per comprendere meglio il complesso e straziante quadro della Trieste sotto occupazione nazista. Mai la città fu tanto frammentata e drammaticamente divisa: da una parte i tedeschi, che vi si insediarono con il preciso progetto di solleticare sul piano amministrativo, giuridico e culturale, invista dell’annessione al Terzo Reich, quella che ritenevano essere la radice austrogermanica dei triestini. Dall’altra i fascisti - invisi ai nazisti -, loro malgrado depositari di un nazionalismo in cui tanti irredentisti della prima ora stentavano a riconoscersi. In mezzo i resistenti, i partigiani, a loro volta divisi fra filo-jugoslavi e antislavi, per non parlare della comunità slovena: «molti Sloveni della provincia di Lubiana - nota Pagnini nelle memorie -, col favore dei Tedeschi erano scesi in città. Mai si era sentito parlare tanto slavo quanto nell’ultimo periodo dell’occupazione tedesca».

In questo clima uomini e amministratori come Pagnini - coartati o blanditi dall’occupante - vissero costretti a ruoli ambigui e a compromessi e silenzi spesso dilanianti. Colpisce per esempio, in queste memorie, che - per quanto siano state scritte ad armi ancora fumanti - non vi sia alcun cenno alla Risiera di San Sabba, e che stragi e rappresaglie come quella di via Ghega vengano liquidate in poche righe («mi dissero che non c’era niente da fare con quegli enurgumeni delle SS che avevano appreso quei sistemi in Polonia ed in Russia»).

Se queste “Memorie” hanno un merito, e ce l’hanno, è soprattutto quello di riaprire una volta di più lo studio, la riflessione e la ricerca su quel buco nero che fu la Trieste dell’ Adriatisches Küstenland.

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