Con le sue lettere la triestina Ada fece fuggire i compagni dal lager
Un libro edito da Mimesis raccoglie memorie e documenti della partigiana

di Pietro Spirito
Bolzano nel 2008 le ha dedicato una via, a Trieste invece solo gli storici e gli esperti di politica sanno chi era. Del resto Ada Buffulini (1912-1991), pur essendo nata a Trieste, ha passato la gran parte della sua vita a Milano, lasciando un segno profondo nella storia della Resistenza. Eppure proprio le sue origini borghesi, quell’educazione tipicamente liberale e all’avanguardia di tante giovani triestine nate all’alba del Novecento, è alla base della passione, dell’impegno, che la portarono relativamente tardi a gettarsi a capofitto nella lotta ai nazifascisti dando un contributo fondamentale alla lotta.
Chi era Ada Buffulini e quale fu il suo impegno nella Resistenza lo racconta ora il figlio Dario Venegoni curando il libro “Quel tempo terribile e magnifico - Lettere clandestine da San Vittore e dal lager di Bolzano e altri scritti” (Mimesis, pagg. 322, euro 22,00, prefazione di Tiziana Valpiana), volume che raccoglie il memoriale di Aada scritto nel dopoguerra, tutte le lettere e i biglietti che la donna riuscì a spedire clandestinamente dalla sua prigionia, lettere e interviste a personaggi che l’hanno frequentata e conosciuta. Insomma uno zibaldone che rappresenta non solo la testimonianza viva e puntuale di una combattente antifascista, ma il “romanzo” di formazione di una donna che matura una coscienza civile in nome della quale è pronta a ogni sacrificio, inseguendo l’ideale di «una vita coerente».
Ada Buffulini nasce a Trieste il 28 settembre 1912, da una famiglia agiata di solide radici irredentiste. Il padre, Vittorio, è ingegnere capo al Comune di Trieste, la madre Maria Castellari, insegnante alle elementari. La famiglia abita in via del Ronco, in un appartamento affacciato sul Giardino Pubblico, e non appena finito il liceo classico Ada dà subito dimostrazione del suo bisogno di indipendenza chiedendo di andare a Milano per iscriversi alla facoltà di Medicina. «La grande città - nota Dario Venegoni - le dischiuse un mondo nuovo, lontanissimo dai ritmi e dalle consuetudini triestine», portandola in contatto con «un ambiente intellettuale aperto, anticonformista, in prevalenza di orientamento dichiaratamente antifascista». Per lei, che sin da giovanetta ha mostrato spirito critico nei confronti di ogni manifestazione di grettezza sociale e antiliberale, quello milanese è un ambiente ideale, anche se non riesce ancora a occuparsi di politica. La svolta avviene dopo l’Armistizio dell’8 settembre ’43, quando nel clima euforico che precede la Repubblica di Salò conosce Lelio Basso, esponente di spicco del Partito socialista.
In poche settimane Ada aderisce al partito e si getta anima e corpo nell’attività politica. Entra in clandestinità, ma nel ’44 finisce nella rete delle bande del fascismo milanese. Viene rinchiusa prima a San Vittore, poi spedita nel campo di concentramento di Bolzano. Qui - in quanto medico che per altro conosce perfettamente il tedesco - viene assegnata all’infermeria, dove diventa la coordinatrice di un comitato clandestino nel campo. Mantiene i rapporti con un gruppo esterno e riesce a far passare dentro e fuori il lager lettere e informaz. ioni, oltre a pacchi di alimenti, medicinali, soldi, capi di abbigliamento ed altro per decine di internati. Riuscirà anche a organizzare diverse fughe.
Il volume raccoglie appunto oltre al memoriale il “corpus” di queste lettere, biglietti, note, informative che aprono una finestra “in tempo reale” sulla vita nel lager e sulle dinamiche dei resistenti. È una corrispondenza fittissima che, come giustamente osserva Venegoni, ha dell’incredibile: «Probabilmente da nessun altro Lager o prigione delle SS uscì in quegli anni una tale mole di corrispondenza clandestina». Era un “servizio postale” così regolare «che a un certo punto Ada scrisse a Visco Giraldi: “Non ho tempo di scrivere altro. A domani” (...) nella presunzione che anche il giorno successivo ci sarebbe stata la possibilità di fare uscire dal Lager nuove comunicazioni, e che altre sarebbero entrate». Sono lettere in cui traspare una quotidianità fatta di sofferenza ma anche di speranza e di attese.
Come nota Tiziana Valpiana nella prefazione, «più e meglio di ponderosi saggi teorici, questo riordino ragionato delle “carte” di Ada presenta la costruzione di un’identià individuale e anche la costruzione di un’identità collettiva» e, in più, «illustra la funzione essenziale della memoria, declinandola nei suoi molteplici aspetti: funzione politico-sociale, umana, affettiva, sentimentale, sottolinedando insieme la necessità di mantenerla viva».
p_spirito
©RIPRODUZIONE RISERVATA
I commenti dei lettori