Per le bizze di un giurato Daša Drndi„ non vince
Il Premio von Rezzori trascura “Trieste” e incorona il russo Vladimir Sorokin

FIRENZE. I pronostici della vigilia avevano dato fino all'ultimo per favorita la croata Daša Drndi„ con il romanzo “Trieste” (Bompiani). Invece è Vladimir Sorokin il vincitore della nona edizione del premio Gregor von Rezzori Città di Firenze. Lo scrittore russo, premiato ieri sera a Palazzo Vecchio, si è aggiudicato il prestigioso riconoscimento con il suo romanzo La giornata di un opri›nik (Atmosphere libri), sbaragliando gli altri quattro finalisti della cinquina: oltre alla Drndi„, l'inglese Andrew Miller con “Pura” (Bompiani), la messicana Guadalupe Nettel con “Il corpo in cui sono nata” (Einaudi), l'olandese Tommy Wieringa con “Questi sono i nomi” (Iperborea).
Dalle indiscrezioni si è capito che è stata l'irriducibile opposizione di uno dei giurati - la giuria, presieduta da Ernesto Ferrero, è composta da Beatrice Monti della Corte, Alberto Manguel, Andrea Bajani ed Edmund White - a convincere gli altri quattro a trovare una soluzione di compromesso, per evitare di decretare la vittoria "a maggioranza", possibilità che, pure, il regolamento del premio prevede.
Si dava per scontata l'incoronazione della Drndi„ perché il suo libro, tradotto in undici lingue, è stato accolto ovunque come un capolavoro e accostato a quelli migliori di autori come W.G. Sebald e Don DeLillo: la goriziana Haya, discendente di una famiglia ebrea convertitasi al cattolicesimo, all'età di 62 anni si mette a cercare dispetatamente il figlio avuto molti anni prima da un ufficiale delle Ss. La donna si trova così a ripercorrere la tragedia delle persecuzioni razziali, della Seconda guerra mondiale e delle deportazioni, e in particolare il massacro degli ebrei italiani nella Risiera di San Sabba a Trieste. Fotografie, mappe, deposizioni ai processi di Norimberga, interviste con i superstiti: attraverso un ampio collage si ricostruisce la cronaca dell'occupazione nazista nel Nord Italia.
Un testo ricco, intenso, originale, a giudizio di tutti, ma non di un giurato che pare l'abbia tacciato, contro il parere degli altri, di essere un'opera troppo ambiziosa e costruita a tavolino. Evidentemente alla fine si è trovata la quadra accordandosi sul romanzo di Sorokin, che non guarda al passato ma al futuro, immaginando la Russia del 2027, dove è stata restaurata la monarchia zarista, un impero che si regge su uno stato repressivo. Il protagonista, Andrei Komiaga, è un membro della temibile polizia segreta: un uomo violento, feroce, spietato, eppure capace di commuoversi ascoltando le canzoni popolari della sua terra.
Una metafora fantapolitica per parlare della Russia di Putin? «Nel mio libro - confida lo scrittore - c'è sicuramente qualcosa già della Russia di oggi, la tendenza ad autoescludersi dal resto del mondo. D'altra parte anche con il comunismo era così: la dittatura socialista si era sovrapposta al modello monarchico mantenendo però lo stesso tipo di controllo sulla popolazione. Certo, aveva escluso la religione, che invece oggi torna in primo piano come strumento di potere».
Premiata, infine, Federica Aceto per la traduzione di “End zone” di Don DeLillo (Einaudi).
Roberto Carnero
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