Cosulich, l’ingauribile cinefilo che ha inventato la critica pop
Con gli amici Tullio Kezich e Franco Giraldi ha vissuto a Trieste la stagione del cinema in equilibrio fra Est e Ovest, diventandone uno degli interpreti più moderni

di PAOLO LUGHI
Per ricordare oggi Callisto Cosulich, a un giorno dalla sua scomparsa e dal cordoglio di tutto il cinema italiano, vorrei partire da una foto mai scattata. Quella che non è stata fatta, chissà perché, alla Mostra di Venezia del 1996, quando i "tre moschettieri" Cosulich, Kezich e Giraldi si trovavano al Lido con ruoli all'apice del loro prestigio: Callisto nella Giuria del festival, Tullio critico di punta del "Corriere della Sera", Giraldi in concorso con "La frontiera" (selezionato dall'amico direttore Gillo Pontecorvo, con cui lui e Callisto avevano condiviso l'appartamento di via Massaciuccoli ai Parioli a Roma negli anni '50).
Ricordando le uniche due foto che assemblano i citati "moschettieri", la prima (giovanissimi) nel dopoguerra sul torrione del Castello di San Giusto, la seconda negli anni Duemila al Miela in una celebrazione del Trieste Film Festival, entrambe evidentemente carpite a forza, viene naturale notare l'understatement tipico dei protagonisti della nostra cultura, ma stavolta per celebrarlo. I tre infatti (insieme al quarto moschettiere, il "D'Artagnan" Tino Ranieri), sono stati autentici protagonisti della cultura cinematografica italiana, al centro dello snodo fra il Neorealismo e i grandi autori degli anni '50-'70. E sono diventati insieme un simbolo fortissimo, la testimonianza perenne che la città di Svevo, Joyce, Saba & C. ha saputo sognare - nella sua importante identità - anche il cinema, e non solo la letteratura. Anzi, come pochi altri nel nostro Paese hanno saputo concretizzare il magico binomio "cinema & letteratura" attraverso un percorso comune, vivo e dinamico, fra i due linguaggi, inventando 70 anni fa una critica cinematografica moderna, marginale, "estrema", come forse solo a Trieste poteva accadere.
Questi pionieristici "ragazzi di celluloide" si erano tutti formati in una Trieste del dopoguerra che conservava l'impronta "americana" della sua origine. Una "nuova frontiera" dov'erano affluiti da ogni parte affaristi e avventurieri, una specie di micro-Far West senza tradizioni di cultura (come lamentava Slataper). Una città, peraltro, dove i loro genitori avevano scoperto Freud, Ibsen e Strindberg prima della cultura italiana, e dove un poeta come Saba era stato direttore del cinema Italia. Dunque Trieste "città americana", dove i cinema per i militari, nei quali Callisto e Tullio si infilavano senza difficoltà, proiettavano le novità più recenti di Hollywood. Ma dove anche, nel maggio '45, il Cinema del Mare (attuale Teatro Miela) inaugurò una stagione di capolavori sovietici inediti. Fu davvero unica la programmazione cinematografica a Trieste dall'8 settembre 1943 al '48-'49, che ebbe un valore formativo straordinario sugli aspiranti critici Cosulich e Kezich, messi in grado di guardare allo stesso tempo alle novità dell'Est e dell'Ovest.
Così entrambi presto diventarono fra i pochi interpreti di una critica cinematografica "moderna", professionale e autorevole, libera da dogmi estetici o ideologici. Ma da qui partì anche la differenza, mirabilmente complementare, fra le due personalità. Se Kezich è sempre stato il critico "mainstream" e "colto", quello legato alle grandi testate ("Panorama", "Repubblica", "Corriere"), agli interessi "alti" (Svevo) e alle amicizie più autorevoli (Fellini su tutti), Cosulich invece è stato il pioniere di una critica cinefila ma non settaria, popolare ma non populista. Ecco allora che nel '57 Cosulich fece rumore con un importante articolo, "La battaglia delle cifre" (su "Cinema nuovo"), che per la prima volta faceva entrare il tema degli incassi nel dibattito sulla cultura cinematografica, documentando l'insuccesso economico del Neorealismo e facendo notare quanto esso fosse rimasto un cinema d'élite.
Poi, era Cosulich quello fra i due con la passione per i film "di mostri", per quelle strane pellicole che nella Trieste americana invasa dai fondi di magazzino delle Majors, dai "figli e nipoti di King Kong", passavano soprattutto al "Novo Cine". Film dal titolo delirante e accattivante come “Il mostro pazzo”, di cui Callisto all’epoca chiese un giudizio («Come iera, come iera?») al fratello minore di Mario Maranzana che usciva dalla sala, e che rispose: «No iera cussì bel come credevo».
Da questa passione di Cosulich per i film di serie B proviene la straordinaria prova della sceneggiatura di "Terrore nello spazio" di Mario Bava (1965), il capolavoro della fantascienza italiana che ispirò lo sceneggiatore Dan O'Bannon quando scrisse il cult "Alien" di Ridley Scott. E poi ancora il libro "La scalata al sesso" del '69, sul cinema erotico, che nasceva dall'esperienza giornalistica al settimanale "Abc". E inoltre i seguitissimi cicli cinematografici in tv, in particolare quelli memorabili degli anni '70 sui film di Billy Wilder e sulla Nuova Hollywood, con cui Callisto inventò l'analisi dei film alla moviola per il grande pubblico, migliorando il gusto e le conoscenze cinetelevisive di massa.
A Callisto Cosulich l'attuale cultura cinematografica pop deve quindi moltissimo: è stato pioniere indiscusso di un triestinissimo "sentire moderno" che lo ha accompagnato da subito, di una cultura cineclubistica caratterizzata dall'apertura mentale per autori, temi, generi (horror, fantascienza), fuori dalla norma ma sempre profondamente dentro l'amore per il cinema.
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