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Le testimonianze dei soldati in marcia

I racconti del 24 maggio 1915: «Il confine è per sempre abbattuto»

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«A te cara mamma un pensiero ed un bacio prima di varcare il confine tuo F». È il testo della cartolina datata 24 maggio 1915, firmata da Filiberto Boccacci, soldato dell’89° fanteria brigata Salerno. Il racconto di Filiberto è conservato insieme a molti altri (circa 400 tra diari, memorie, epistolari) presso l’Archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano. Ricordi, testimonianze.

Ludovico Caprara racconta a Sevegliano, provincia di Udine, il 24 maggio 1915: «Il Capitano Conte Giusti ci riunì in quadrato e ci disse brevi e concise parole: L’ora è suonata, dalla mezzanotte siamo in guerra con l’Austria. Poi sguainò la sciabola e con un gesto indicò la via, marsc. Si levarono nella mattinata chiara di maggio le lucide lance del Genova Cavalleria. Era l’alba del 24 maggio 1915. Dopo pochi minuti ci trovammo di fronte alla barriera di rete metallica alta più di 4 metri con i campanelli alle estremità superiori. Gli zappatori tagliano con le pinze i fili di ferro e il confini è per sempre abbattuto».

Rocco Egidio De Bonis racconta i combattimenti, gli assalti a Monte Korada, in Slovenia, il 24 maggio 1915: «Magnifico è lo spettacolo che presenta la Brigata Valtellina qualche momento prima di iniziare la marcia storica. Sollevo la testa, tentando di abbracciare con lo sguardo, nella notte vagamente illuminata dal cielo stellato, tutta la infinita colonna dei grigio-verdi. Sono 6.000 uomini, presaghi dei grandi eventi che stanno maturando, coscienti dell’enorme responsabilità che affida loro la Patria, fidenti nel proprio valore, pronti a qualsiasi disagio e all’estremo sacrificio. Quanti pensieri rimugino nel mio cervello! Pregusto già la gioia della vittoria, vedo nella fantasia le trincee avversarie, i reticolati, gli scoppi delle granate e gli uomini correre correre e sopraffare il nemico. Ma subito giudico pazzeschi simili progetti; occorrerà piuttosto molta prudenza contro un esercito, come l’austro-ungherese, già pratico di guerra e organizzato saldamente.

Il 25 maggio 1915 Paolo Ciotti racconta la marcia verso il fronte: «Dove si va? Arrivano ordini e contrordini per cui nessuno conosce la destinazione precisa. La marcia è lunghissima; io, che non porto nulla con me, non so capacitarmi come i soldati faranno a portare addosso il pesantissimo zaino.

Facciamo parecchie soste di dieci o venti minuti ciascuna, e, ogni volta, ne approfittiamo per dissetarci e per ammirare il panorama che di mano in mano diventa più suggestivo. Ma una sosta non ci voleva: quella di Campiello. Fu ridicola e quale dimostrazione dell’imperizia di alcuni dei nostri ufficiali superiori, vale la pena di ricordarla. Giunti presso Campiello, il rumore di uno scoppio vicino mette tutti in sobbalzo».

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