Seguendo lo “zietto” Grossman tra Stalingrado e Treblinka
Adelphi pubblica “Uno scrittore in guerra” che sarà presentato da èStoria a Gorizia

di Alessandro Mezzena Lona
A vederlo così, nessun esercito lo avrebbe mai arruolato. Perché Vasilij Grossman non ci vedeva troppo bene neanche quando inforcava gli occhiali. E poi, si era lasciato ingrassare oltre misura. Tanto da mettere a dura prova il suo cuore. Tanto da far fatica a camminare. Al punto che aveva adottato come compagna di strada una canna da passeggio. Eppure quell’uomo, che sarebbe diventato uno dei grandi scrittori del ’900, avrebbe venduto sua madre pur di poter indossare la divisa dell’Armata Rossa.
Ma come si poteva arruolare un tipo così? Semplice: non capiva niente di come funziona una pistola, un fucile, eppure «sapeva tutto dell’animo umano». E così, a mettergli addosso una divisa, a spedirlo al fronte, fu il suo direttore, David Ortenbeg, commissario con il grado di generale, che lo avrebbe preso come corrispondente di guerra di “Krasnaja zvezda”, il giornale dell’Armata Rossa. Più seguito dai cittadini, all’interno dell’Unione Sovietica, di altri quotidiani come le “Izvestija”.
Grossman non era ancora famoso come scrittore. Molti anni dopo avrebbe scritto capolavori come “Vita e destino”, “Tutto scorre”, ma anche raggelanti reportage come “L’inferno di Treblinka”. Alle spalle si lasciava una vita complicata: una famiglia ebrea che sarebbe stata spazzata via dall’antisemitismo montante di quegli anni di guerra, una situazione sentimentale piuttosto complessa, un rapporto con il Partito comunista e con il “piccolo padre” Stalin decisamente difficile. Eppure non ci pensò su per un solo istante: indossò la divisa di intendente, con la giubba che era tutta una grinza e gli occhiali che gli scivolavano sul naso, fece un rapidissimo corso di addestramento con un ex ufficiale dell’esercito, il colonnello Ivan Chitrov, e si mise sulle tracce dell’Armata Rossa. Seguendo i soldati dell’Urss, per oltre mille giorni, come inviato speciale sui fronti più caldi. Quello dell’Ucraina, quello che vide la difesa spasmodica e gloriosa di Mosca e di Stalingrado, assediate dai nazisti. Fino alla trionfale avanzata russa verso Berlino, passando per l’epica battaglia di Kursk e per la scoperta dei campi della morte, prima a Majdanek e poi a Treblinka.
La guerra, per Grossman, diventò racconto. Riempì, dal 1941 in poi, taccuini su taccuini perché era convinto che «chi scrive ha il dovere di raccontare una verità tremenda, e chi legge ha il dovere civico di conoscerla, questa verita». Adesso, un’ampia selezione di quei reportage esce in volume. “Uno scrittore in guerra” di Vasilij Grossman, curato da Antony Beevor e Luba Vinogradova per Adelphi (pagg. 471, euro 23), verrà presentato al Festival èStoria di Gorizia venerdì 22 maggio. Al Chiostro della Biblioteca Statale Isontina, coordinati da Armando Torno, dialogheranno sul libro Valentina Parisi, che ha curato la traduzione in italiano, e Pietro Tosco, che dirige il Centro Vasilij Grossman.
Lo “zietto” Grossman, che le ragazze chiamavano così per il suo aspetto da giovane invecchiato anzitempo, seppe trasformare il suo viaggio dentro la guerra in un osservatorio privilegiato sul controverso e multiforme mondo sovietico. Partito con un grande amore per la gente e per la vita, strada facendo riuscì a trovare dentro i racconti dei soldati la possibilità di mettere a nudo le bugie del regime, di smascherare gli infidi. Lasciando in un angolino la retorica ufficiale, alternando al racconto di battaglie epocali storie di gente anonima, trasformò gli eventi bellici in una metafora delle sorti dell’uomo.
Questi taccuini, che si leggono come fossero un romanzo di guerra, sono stati la palestra di scrittura di un grande scrittore. Che, anni dopo, avrebbe stupito il mondo con “Vita e destino”.
alemezlo
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