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Quei bimbi del coro dentro il lager che seppero sfidare i loro aguzzini

Da “Uno scrittore in guerra” di Vasilij Grossman, pubblicato da Adelphi, pubblichiamo un brano del capitolo “Treblinka”. di VASILIJ GROSSMAN Parsimonia, precisione, oculatezza, attenzione maniacale...

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Da “Uno scrittore in guerra” di Vasilij Grossman, pubblicato da Adelphi, pubblichiamo un brano del capitolo “Treblinka”.

di VASILIJ GROSSMAN

Parsimonia, precisione, oculatezza, attenzione maniacale alla pulizia sono caratteristiche tutt’altro che negative e tipiche di molti tedeschi. Se applicate all’agricoltura o all’industria danno il giusto frutto. L’hitlerismo le applicò ai crimini contro l’umanità: le Ss del campo di lavoro polacco agivano come se stessero coltivando patate o cavolfi ori.

La superficie del lager era divisa in rettangoli uguali: baracche in fila perfetta, strade cosparse di sabbia e costeggiate da betulle. . C’erano vasche di cemento per oche e anatre, lavatoi con tanto di gradini per il bucato, servizi per il personale tedesco (una panetteria modello, un parrucchiere, un garage, una pompa di benzina con la sua bolla di vetro, depositi vari). Più o meno sullo stesso schema – con i giardinetti, le fontanelle dell’acqua potabile e le strade in cemento – era stato costruito anche il lager di Majdanek, vicino a Lublino; e sullo stesso schema nella Polonia orientale stavano sorgendo decine di altri campi di lavoro dove la Gestapo e le Ss contavano di restare molto a lungo...

Il campo n. 1 funzionò dall’autunno del 1941 al 23 luglio del 1944. Venne raso al suolo quando i prigionieri già sentivano in lontananza il rombo sordo dell’artiglieria sovietica.

Alle prime luci del 23 luglio i Wachmänner e le Ss si riempirono di acquavite per farsi animo e cancellarono il lager dalla faccia della terra. Prima di sera tutti i prigionieri erano stati uccisi e sotterrati. Riuscì a salvarsi solo Max Lewit, falegname di Varsavia, che – ferito – restò immobile fino a notte fonda sotto i cadaveri dei suoi compagni e poi arrancò verso il bosco. Dalla fossa, ha raccontato, sentì i trenta ragazzini del coro che prima di essere fucilati intonarono una canzone patriottica russa, “Vasta è la mia terra”; sentì uno di quegli stessi ragazzi urlare: «Stalin ci vendicherà!», e sentì il loro capo, Leib, il beniamino del campo, cadergli addosso dopo la prima salva, rialzarsi e chiedere: «Mi ha mancato, panie Wachmann. Riprovi, panie Wachmann, riprovi per favore».

©Ekaterina Vasilievna Korotrova-Grossman e Elena Fedorovna Kozhichkina 2005; Antony Beevor e Luba Vinogradova per la curatela e l'introduzione 2015; Adelphi Edizioni spa Milano

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