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I videogiochi cambiano per non fare la fine dei dinosauri

I videogiochi cambiano per non fare la fine dei dinosauri
Console e computer dominavano il settore, ma l’arrivo degli smartphone ha stravolto tutto: i modelli economici sono cambiati, e potrebbero cambiare ancora
4 minuti di lettura

Nel 2020 i mutamenti sono arrivati per molti settori dell’intrattenimento, ma ce n’è uno che ha sempre cambiato pelle con una certa facilità ed è quello dei videogiochi, che si trova oggi nell’ennesima fase di transizione.

Se una volta la console stava nella cameretta dei più giovani, da qualche anno si è spostata nel salotto, è diventata un polo di intrattenimento e spesso i videogiochi devono contendersi la nostra attenzione con mille altre cose. E quindi ecco l’ennesimo cambiamento per un mondo che da tempo vede primeggiare la piattaforma mobile.

Lo sviluppo del settore è da sempre definito da due grandi poli: quello tecnologico e quello monetario. Nel corso della storia, i videogame sono stati creati seguendo la tecnologia disponibile in quel momento, che ne ha influenzato le capacità espressive e gli aspetti sensoriali, ma anche il modello economico che ne permetteva la realizzazione. Nelle sale giochi avevano successo titoli mordi e fuggi in cui la trama era scritta su un fazzoletto e contava offrire una sfida che facesse consumare gettoni.

L’arrivo dei computer ha portato con sé la comparsa di giochi meno spettacolari graficamente, ma molto profondi come narrazione, perché non si dipendeva più dalla monetina inserita nel cabinato. Dal Nes in poi, l’arrivo delle console ha visto l’arrivo di un periodo di transizione in cui si guardava a ciò che succedeva nelle sale giochi, perché era quello che il pubblico amava, ma poi il settore ha preso una sua strada e archiviato il passato.

La corsa alle tasche dei videogiocatori
Più o meno dall’arrivo della prima PlayStation, il modello dominante è stato quello dei giochi venduti a prezzo pieno, senza troppi fronzoli. C’era un sistema di gioco con alcuni titoli multipiattaforma ed esclusive di pregio: si comprava il gioco e dopo averlo giocato lo si teneva o scambiava. Con l’arrivo di Internet sono arrivate le patch, i contenuti aggiuntivi a pagamento e nel 2007 l’iPhone ha aperto un nuovo fronte inaspettato per il settore, quello dei titoli mobile, dei giochi a poco prezzo (se non addirittura gratis) in cui si pagava poco per avere piccoli benefici.

Un modello di business che per un po’ ha coabitato anche sui social network (come dimenticare Farmville e tutta l’ondata dei social game?), e che è rapidamente passato dallo stato di nicchia a quello di posizione dominante. Perché non tutti hanno una Xbox, una PlayStation o un Pc per giocare, ma tutti hanno un telefono e i touchscreen sono decisamente più accessibili dei gamepad. E tutti sono disposti a spendere qualche spicciolo nel tempo piuttosto che 50, 60 o anche 80 euro tutti insieme. Soprattutto se il videogioco è strutturato per chiederci sempre soldi e stimolare il nostro desiderio di andare avanti.

Dall’ultimo rapporto Iidea emerge che nel 2020 il mercato globale dei videogiochi ha raggiunto un valore di 135,8 miliardi di dollari con un incremento supportato dagli effetti della pandemia da Covid-19 e dall’arrivo di nuove console e altre innovazioni. Si prevede che entro il 2025 l’industria registri una crescita annuale del 10,2% a livello mondiale e, in questo contesto, l’Italia mostra uno dei tassi di crescita annuale più elevati (+10,6%), partendo da un giro d’affari di circa 1,7 miliardi di dollari. In Italia il 61% di chi gioca anche saltuariamente lo fa con uno smartphone, in Cina questa percentuale sale del 90%: anche là le console giapponesi e americane fanno fatica ad arrivare, figuriamoci l’introvabile PlayStation 5.

Le scelte di Electronic Arts e Ubisoft
E quindi ecco che il mercato cambia di nuovo. Anzi, a dire il vero non ha mai smesso di farlo: i videogiochi su Pc e console, pur mantenendo costanti i volumi di vendita, sono stati sorpassati a cavallo tra il 2015 e il 2016 dal settore mobile e in molti casi hanno cercato di adeguarsi proponendo modelli economici simili: sempre più microtransazioni e sempre più giochi gratuiti, come Fortnite, che tutti possono giocare senza spendere un centesimo, ma in cui il mercato delle skin è fiorente, come Genshin Impact.

Negli ultimi anni, grazie anche alla pandemia, questi processi hanno beneficiato di un’ulteriore accelerata: lo si nota dai rapporti dell’anno fiscale appena concluso. Per Electronic Arts, il 2020 è stata un’ottima annata, che ha portato un fatturato di 5,6 miliardi di dollari: è in linea con quello degli anni passati, ma ben 4,6 miliardi arrivano dalle microtransazioni, soprattutto dai tanto discussi pacchetti di giocatori e oggetti della modalità Fifa Ultimate Team presente in Fifa 21.

Ma il dato più interessante di questa transizione lo fornisce Ubisoft che, pur avendo dichiarato di essere intenzionata a continuare a impegnarsi in grandi giochi single player, sta cambiando radicalmente le politiche per i giochi del futuro. Dopo i risultati finanziari presentati all’ultima riunione con gli investitori, l'azienda ha dato un assaggio di quella che potrebbe essere la prossima strategia: “Stiamo puntando a creare esperienze free-to-play di alto livello, di tendenza come i nostri giochi Tripla A – ha spiegato Frédérick Duguet, Cfo di Ubisoft - Stiamo facendo un passo avanti rispetto al modello che ci vedeva pubblicare 3-4 grossi titoli l'anno. Questo non significa che cambiamo i nostri piani di sviluppo, ma che li stiamo espandendo”.

A pesare su questa scelta probabilmente non c’è solo il successo di Fortnite o Apex Legends, ma anche quello di Call of Duty, soprattutto della modalità gratuita Warzone, che da gioco di supporto per il titolo principale potrebbe rapidamente diventare la parte più importante del franchise. Il punto è che forse l’impegno per un grande gioco single player, che concentra gli incassi in un breve periodo, o un multiplayer che dura un anno o poco più, in alcuni casi non è più remunerativo per aziende così grandi.

Senza contare che spesso le grandi produzioni richiedono di puntare sul sicuro, magari con l’ennesimo seguito: le nuove produzioni sono complesse, tanti aspetti possono andare male, col pubblico e gli investitori che premono per l’uscita, come sanno bene quelli di Cd Projekt dopo il pasticciaccio di Cyberpunk 2077. Meglio puntare su un titolo gratuito, alimentato da un costante flusso monetario dato dalle microtransazioni e aggiornato nel tempo.

Un modello che per certi versi si rifà ai vecchi giochi di ruolo online in stile World of Warcraft, ma aggiornato per generi ben diversi, come gli sparatutto in prima o terza persona: il primo passo di questo cambiamento sarà Heartland, un videogioco probabilmente gratuito ambientato nel bell’universo narrativo di The Division.

Questo non vuol dire che non avremo più titoli single player come Resident Evil Village, che tra l’altro sta vendendo molto bene, ma che quei giochi non bastano più per un settore sempre più redditizio ma anche sempre più costoso, frammentario e complesso, dove il pubblico è esigente e l’attenzione è costantemente preda di mille altri stimoli, dalle serie tv ai programmi su Twitch, passando per il gioco online e numerose altre attività.

Un cambiamento per non estinguersi
Insomma, se una volta le console si contendevano il salotto, oggi quella guerra si è spostata a tutte le piattaforme dell’intrattenimento: in palio c’è sempre il nostro tempo, ma anche i nostri soldi, possibilmente incassati ogni mese. Se computer e console fossero i dinosauri, potremmo dire che la “meteora” del mobile non li ha portati all’estinzione, ma di sicuro ha ridotto le loro risorse a favore di specie nuove, più piccole e adattabili.

Adesso c’è da capire se ne prossimi dieci anni resteranno soltanto i fossili e le console andranno a fare compagnia ai cabinati nelle case di chi ama il retrogaming. Improbabile, ma questo settore ci ha abituato a molte sorprese.