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Il lavoro agile si costruisce, non si copia

Il nuovo libro di Bain & Company propone casi pratici per non affondare, ora che il lavoro sta cambiando forma

3 minuti di lettura

Mai come ora, con una pandemia che ha forzato la trasformazione radicale delle modalità di lavoro, c’è bisogno di non affrettarsi per evitare di peggiorare la situazione. È il caso di moltissime aziende di grandi dimensioni, le corporate, che da un giorno all’altro hanno dovuto reimmaginare il lavoro costruendo processi di interazione tra i dipendenti esclusivamente da remoto.
È davvero labile la differenza che c’è tra i vari tipi di lavoro non in ufficio: c’è il lavoro da remoto, quello distribuito, il telelavoro, lo smart working. Ognuno ha delle caratteristiche peculiari, e bisogna far attenzione a non confonderli. Il governo italiano, ad esempio, ha puntato molto sul lavoro agile. Si chiama così perché è la rappresentazione più completa delle regole del manifesto agile pubblicate nel 2001, ma venti anni dopo, ancora moltissime aziende, in primis le pubbliche amministrazioni, fanno fatica a convertire il lavoro in ufficio in lavoro agile. Prima di tutto perché lavoro agile non vuole  dire di per sé che non si lavori in ufficio. 

Bain & Company ha presentato da poco in Italia il libro Fare Agile nel modo giusto, una serie di suggerimenti sulle buone ma soprattutto cattive pratiche che un manager deve conoscere se vuole far diventare la propria un’azienda agile. È necessario essere consapevoli del fatto che ci saranno altre pandemie, guerre mondiali, nuovi attacchi terroristici e altri shock finanziari, e che il lavoro deve adattarsi ai nuovi contesti. Le aziende che avranno successo saranno quelle capaci di prosperare in contesti di imprevedibilità e incertezza, adattando il proprio business e i propri modelli – attraverso la sperimentazione – allo stesso ritmo dei cambiamenti che avvengono nella tecnologia, nella domanda e nell’offerta del mercato.

L’obiettivo del manuale, che mette a frutto l’esperienza raccolta da Bain & Company in quasi 50 anni di consulenza strategica, è quello di sostenere le imprese affinché possano continuare a costruire (anche durante le crisi), fornendo loro consigli pratici per fare dell’innovazione, e in particolare dell’innovazione agile, uno dei propri elementi di crescita. Per queste ragioni, Bain ha avviato un dialogo con oltre 100 aziende, evidenziando il fatto che le imprese troppo spesso applicano l’innovazione solo in modo sporadico.

L’innovazione agile è nata molti anni fa negli Stati Uniti come un metodo per creare un nuovo prodotto o servizio. In estrema sintesi, in passato i prodotti e i servizi venivano prima completati in ogni loro caratteristica (contenuto, packaging, prezzo, servizi associati) e poi messi in vendita.

L’Agile ha modificato radicalmente questo approccio e invertito l’ordine dei fattori: il nuovo prodotto o servizio viene realizzato in più interazioni cicliche, ciascuna delle quali mette a punto uno o più aspetti del prodotto, che deve essere poi sottoposto a feedback degli utenti. Solo se funziona, si procede con le caratteristiche successive, altrimenti si torna indietro e si riparte: il cosiddetto feedback loop. I cardini dell’innovazione agile sono quindi il cliente e il percorso di apprendimento continuo.

Molte aziende, pur comprendendo il valore di questo approccio, applicano l’agile in modo errato: non cambiando mentalità, falliscono miseramente. L’errore più comune, è quello di copiare il modello organizzativo da aziende che già applicano il lavoro agile, ma dimenticando che ogni azienda ha dei processi burocratici e di ricerca e sviluppo che necessitano di modelli su misura. Molte aziende, ad esempio, hanno copiato il modello di organizzazione agile di Spotify, anche se la stessa ha esplicitamente dichiarato che non avrebbe funzionato altrove, e i risultati sono stati drammatici.

Questo succede perché Spotify è un’azienda di prodotto, che sviluppa prodotti software (l’app e le integrazioni del servizio di streaming), e il modello non potrà mai funzionare per aziende di processi o che sviluppano prodotti alimentari o siderurgici.

Il libro è il risultato delle esperienze di moltissimi progetti agili con i feedback ricevuti da 15.000 dirigenti nel corso degli anni, che si possono sintetizzare in quattro punti fondamentali:

- Esiste una correlazione geografica con l’adozione del lavoro agile. Le geografie maggiormente egualitarie e collettiviste (ad esempio i Paesi scandinavi) sono quelle che vedono un’adozione più veloce e diffusa dei modelli agili. Invece, questo tipo di innovazione fa più fatica a prendere piede in alcune regioni dell’Asia, mentre gli Stati Uniti sono nella media. Il modello non è uniforme, e deve piuttosto essere adattato e contestualizzato al quadro normativo e al background culturale del Paese in cui l’azienda opera;

- Il lavoro da casa (Work From Home, WFH in inglese)  è stato un esperimento naturale molto interessante ai fini dell’applicazione del lavoro agile, e ha funzionato nell’80-90% dei casi per team già coesi. Sicuramente, quando la crisi sanitaria ed economica sarà conclusa, questa esperienza avrà accelerato la combinazione di digitale e fisico;

- L’ Agile è qui per restare. Tuttavia, se applicato in maniera errata, esiste il rischio concreto che diventi una moda consulenziale e/o che possa essere utilizzato in maniera impropria, ad esempio per licenziare le risorse o per spingere i dipendenti ad accelerare le tempistiche di consegna dei propri lavori. Questo non è l’obiettivo dell’Agile, che dovrebbe invece valorizzare il talento dei dipendenti;

- Le donne sono maggiormente predisposte per l’Agile. Ci sono diversi dati che evidenziano come le donne sappiano affrontare meglio i contesti di incertezza e come in generale tendono ad essere più empatiche e capaci di connettere in maniera naturale parte destra e sinistra del cervello.