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Djokovic, la Serbia lo accoglie come un martire della libertà

Tennis: il campione torna a Belgrado dopo l’espulsione dall’Australia

Stefano Semeraro
2 minuti di lettura

la storia



Un tunnel di selfie attraverso tre continenti, rigorosamente con la mascherina indossata, a cui si è offerto a testa alta, da vincitore. Poi l’accoglienza da eroe, con i tifosi imbandierati e la scritta Nole ti si ponos Srbije, Nole, sei l’orgoglio della Serbia, sparato sul megaschermo di un grattacielo. Il ritorno di Djokovic in patria si è srotolato fra Melbourne e Dubai, dove il numero 1 del mondo, espulso dall’Australia, ha fatto tappa prima di atterrare al «Nikola Tesla» di Belgrado. Al gate, nel finger che lo portava al suo sedile in prima classe; ovunque ha trovato qualcuno pronto a regalarsi uno scatto con l’uomo più famoso al mondo delle ultime due settimane. Perché se è vero che maggioranza dell’opinione pubblica lo critica, non sono pochi – e moltissimi in Serbia – quelli che, ora più che mai, vedono in lui un profeta e un martire della libertà di opinione, vittima «di una farsa piena di bugie» (copyright del presidente serbo Vukic).

Ad aspettarlo fuori dalla Vip lounge di Belgrado c’erano alcune centinaia di tifosi che hanno subito iniziato a scandire slogan («Dio ti benedica!», «Sei il nostro campione! ») e a sollevare il tricolore, ma il campione è stato fatto uscire da una porta laterale. Il fratello Djordje lo ha caricato in automobile e trasportato nel suo appartamento, dove resterà nei prossimi giorni. «Senza fare dichiarazioni ai media», come ha precisato mamma Dijana, per rispetto a chi sta giocando il torneo che gli è stato negato. A Melbourne la sua assenza si fa già sentire. «Se Nole fosse qui – ha ammesso Rafa Nadal – sarebbe sicuramente meglio». Miomir Kecmanovic, il connazionale che il Djoker avrebbe dovuto incontrare al debutto, dopo aver battuto facilmente il «sostituto» italiano Salvatore Caruso invece ha lanciato, assieme agli tennisti serbi in gara, il grido di battaglia: «Vendicheremo Novak sul campo». Con Djokovic arroccato nella sua dimora di Belgrado come un re medievale dopo un tradimento, si allargano intanto gli effetti della vicenda. Lo sponsor Lacoste ha annunciato di voler «rivedere assieme al campione gli eventi di Melbourne». In Spagna, dove Djokovic possiede a Marbella una villa da 8 milioni di dollari, il premier Pedro Sanchez, spalleggiato dal cancelliere Olaf Scholz in visita ufficiale, ha ribadito che «qualsiasi sportivo che desidera competere in Spagna deve rispettare le regole sanitarie». Senza eccezioni.

Dopo gli Australian Open nel programma di Djokovic c’era la trasferta americana, ma da non vaccinato non potrebbe competere né a Miami né a Indian Wells e anche Roma e Parigi rischiano di diventare off limits. «È un campione controverso, non un esempio per i giovani come Federer e Nadal», ha dichiarato ai microfoni di «Radio Anch’io» il direttore degli Internazionali d’Italia, Sergio Palmieri. «Se parteciperà agli Internazionali dipende da lui. Noi accetteremo tutti quelli che sono in regola».

Il Roland Garros in un primo tempo si era detto pronto ad accettarlo anche senza vaccino, ma nelle ultime ore il ministro dello sport Roxana Maracineanu ha annunciato che il Green Pass sarà obbligatorio. Per tutti. «In che mondo vivremmo – ha insistito l’ex ministro degli interni Christophe Castaner – se, solo perché sei una star, ti fosse concesso di non rispettare le regole?». Liberté e fraternité, certo. Ma prima di tutto, egalitè. —

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