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Santi Puglisi: «A Trieste l’unico stop ma a Chiarbola allenai per una sera Jordan»

Era il coach della Stefanel nella storica esibizione nel 1985

Roberto Degrassi
3 minuti di lettura
la storica schiacciata di jordan a trieste 

TRIESTE «In questi lunghi giorni in casa a Fano ho una sola consolazione: mi affaccio alla finestra e vedo il mare». Santi Puglisi guarda oltre i vetri e aggiunge: «Eppure proprio il mare mi ha fregato, a Trieste...» Il ricordo di quell’esperienza nella stagione 1985-86 è un indefinibile miscuglio di sensazioni. «A Trieste ho subìto l’unica retrocessione della mia carriera. Ma ho conosciuto persone splendide». Quello che per molti appassionati sarebbe il padre di tutti i ricordi invece non riemerge subito. E non è nemmeno il risultato di cui è più orgoglioso. Rivendica: «Sono l’unico dirigente italiano che può dire di aver vinto 12 scudetti, tra prima squadra e giovanili. Tre a Pesaro e nove con la Fortitudo Bologna». Sì, ma arriviamo a Michael Jordan. Può vantarsi di essere l’unico allenatore italiano ad aver allenato MJ...

«Già, Jordan! Quella a Trieste fu una serata storica. Jordan aveva 23 anni ed era già un fenomeno. Io lo avevo già affrontato alle Olimpiadi di Los Angeles quando ero il vice del ct azzurro Sandro Gamba. Quella sera a Chiarbola invece Jordan era la stella della partita-esibizione promossa dalla Nike di cui era il testimonial. Da una parte la mia Stefanel e dall’altra Caserta allenata da Tanjevic. Alla vigilia era previsto che Jordan si dividesse, un tempo con la Stefanel e l’altro con gli avversari ma Boscia rinunciò preferendo lavorare sul suo gruppo per inserire i nuovi. Tutti ricordano la formidabile schiacciata che mandò in frantumi il tabellone, ne fecero le spese Generali e soprattutto Tato Lopez che doveva essere il rinforzo di lusso di Caserta in vista del campionato. Ma io mi ricordo anche un altro episodio...».

LA ZONA DI BOSCIA Una breve pausa, quel pizzico di suspence che si impone e poi Puglisi riprende il racconto. «Quella sera Boscia fece una cosa che di solito non si fa mai durante le partite-esibizioni. Mise i suoi in difesa a zona. Altro che esibizione. Quella era una Caserta vera, prendeva sul serio l’incontro e voleva vincerlo. A un certo punto vidi gli avversari disporsi con la 1-3-1. Chiamai time-out per preparare una contromossa e Jordan mi si avvicinò chiedendo la parola. “Coach, dica ai miei compagni di mettersi tutti da una parte del campo e che mi diano il pallone”. Ovviamente gli demmo retta. Rimessa, palla a Jordan che si mette a fare slalom tra gli avversari come Tomba e va a segnare. Era il suo modo di attaccare la zona!», e ride di gusto. «La Stefanel riuscì a vincere di un punto dopo un supplementare e alla fine Jordan venne a ringraziarmi contento come una Pasqua. Si trattava di un’esibizione eppure quel campione era felice e sembrava un ragazzino. Un fenomeno. E non vi ho ancora detto che la mattina per tenersi in allenamento era andato a giocare a tennis...Di quella serata a Chiarbola restano la videocassetta della partita, la fotografia di squadra.

L’orgoglio di avere allenato almeno per un paio d’ore un campione che è una leggenda del basket». colpa del mare Quella serata con Jordan - ma sarebbe meglio definirla la “serata di Jordan” - resta come uno dei pochi momenti davvero belli in una stagione che poi vide Trieste retrocedere in serie A2. L’unica macchia nel curriculum di Puglisi come coach. «Tutta colpa del mare! Avevo diverse offerte per allenare squadre di A1. Cantù e Siena, tra le altre. Preferii Trieste perchè era una città di mare. Sono nato a Catania, chiamatemi sentimentale ma, Bologna a parte, ho sempre preferito vedere acqua attorno. Questo desiderio mi fece commettere l’errore di non soffermarmi su un paio di riflessioni che avrei dovuto fare. Negli anni precedenti la squadra si era salvata faticando, nonostante fosse stata guidata da Rudy D’Amico e dal mio amico Mario De Sisti. E con la formula delle quattro retrocessioni il rischio rimaneva grande. Infatti...»

Puglisi continua a sfogliare l’album dei ricordi. «Non eravamo uno squadrone ma ci si mise anche la sfiga contro. Scegliemmo Otis Howard su raccomandazione di Chicco Fischetto che lo aveva avuto come compagno di squadra a Brindisi. Nel precampionato al trofeo Lotto contro Milano in un contrasto con un avversario si fratturò lo zigomo. Altro problema sul fronte straniero: Cosulich seppe che era disponibile Ben Coleman, tagliato dalla Nba. Trieste era impazzita per Coleman (morto lo scorso anno, ndr) nel campionato precedente. Peccato che il giocatore si fosse dimenticato di raccontarci perchè fosse finita anzitempo l’avventura tra i pro: colpa di una frattura da stress a un piede. Ben conviveva con la frustrazione di essere stato tagliato dalla Nba, fisicamente non era più quello conosciuto l’anno prima, in sostanza ebbi una sua versione minore. A sei giornate dalla fine ritenni opportuno farmi da parte. Già. La famosa scossa. Subentrò Romano Marini ma la sorte era già segnata. L’unica retrocessione in 58 anni spesi nel basket. Peccato, Trieste mi piaceva, ho incontrato persone squisite come il mio vicino di casa Paolo Zini. Una città innamorata del basket. Anche adesso. Avete persino il prefetto Valenti che è stato il vice di coach Sacco a Trapani...» Cinquantotto anni di basket con personaggi e storie da raccontare. «Soprattutto da dirigente mi sono preso belle soddisfazioni. Ho avuto la fortuna di vivere il momento del boom. Carlton Myers alla Scavolini Pesaro l’avevo portato io, bruciando la concorrenza della Virtus Bologna. Lo prendemmo da Rimini con la formula della comproprietà. Cinque miliardi e mezzo di lire. Sì, effettivamente erano altri tempi».

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