L’unico obiettivo è togliere il pallone dalle mani di chi lo ha rovinato
Alla fine, quelli del calcio, si sono dovuti arrendere all’evidenza, all’incapacità di riformare un mondo che non può più permettersi dirigenti come loro: egoisti, sostanzialmente incapaci, fedeli...
Alla fine, quelli del calcio, si sono dovuti arrendere all’evidenza, all’incapacità di riformare un mondo che non può più permettersi dirigenti come loro: egoisti, sostanzialmente incapaci, fedeli alla logica delle bande rivali, dei favori agli amici e agli amici degli amici. Il calcio ha perso tre mesi, dopo la tempesta dell’eliminazione dal Mondiale e delle dimissioni forzate di Carlo Tavecchio, presidente per conto terzi. Il numero uno del Coni, Giovanni Malagò, proverà a risolvere con il commissariamento, esattamente quello che hanno tentato di evitare anche con un patto all’ultimo tuffo. Un accordo impossibile, perché il livello di fiducia sarebbe stato lo stesso che potrebbe esserci fra Robin Hood e lo sceriffo di Nottingham.
L’unico punto in comune fra questi dirigenti divisi su tutto, del resto, era proprio tenere lontano Malagò. Poco per tentare di fidarsi l’uno dell’altro scegliendo un presidente “zoppo”, ognun per sé, nell’ideale logica dei clan. Alla Figc era stata fatta piazza pulita nel 2006, con il commissariamento post-Calciopoli, quando la Federcalcio era in mano a Carraro che non vedeva o faceva finta di non sapere e uno dei vice, Innocenzo Mazzini, brigava con Moggi e la sua cricca per aggiustare designazioni arbitrali e altro ancora. Si ripartì con il commissario Guido Rossi, con il suo vice Demetrio Albertini e un Mondiale vinto con Lippi in panchina. Poi tutto tornò nelle mani dell’altro vice presidente, Giancarlo Abete, che da 30 anni viveva con la poltrona incorporata ma aveva assistito assolutamente impotente (o incapace) al disastro precedente.
Quindi, attraverso una serie di fallimenti sul campo e soprattutto fuori, siamo arrivati a questo punto. Con la Lega di Serie A ancora senza dirigenti e curiosamente in mano a Tavecchio nelle vesti di commissario e con ambizioni di riciclarsi in quella posizione. Qui in Italia siamo arrivati a un calcio immerso in tre miliardi di debiti e che non ha ancora siglato un accordo sui diritti tv per il prossimo campionato. Che pretende soldi (un miliardo e più) dalle tv ben sapendo che quella somma non potranno mai pagarla, perché non ci saranno abbonamenti a sufficienza per andare in pari.
L’ultima giornata di trattative è stata la rappresentazione plastica di un potere tribale, con il capo degli allenatori Renzo Ulivieri che nel cuore della notte ha cambiato fronte in extremis passando con Gravina e mandando a quel paese il candidato che aveva deciso di appoggiare, il presidente dei calciatori, Damiano Tommasi, la persona migliore di questa storia e proprio per questo osteggiata dagli altri. Ulivieri, del resto, ai voltafaccia ci è abituato: all’epoca della prima elezione di Tavecchio, nel 2014, si era incatenato in segno di protesta per poi diventarne il vice tre anni dopo all’elezione bis. Nel frattempo il presidente della Lazio e patron della Salernitana, Claudio Lotito, ha tenuto svegli quasi tutti i delegati promettendo di tutto per portarli dalla sua parte, quella di Sibilia. Lotito vuole contare per essere ovunque, soprattutto in Federazione e far pesare il suo ruolo soprattutto dove non dovrebbe. Ieri, in pieno caos, se l’è presa con il capo degli arbitri, Nicchi, per via di un gol irregolare del Milan segnato alla Lazio. Lotito ha tentato anche di siglare in extremis una sorta di “Patto della prostata” appostandosi nei bagni e stressando chiunque entrasse con proposte di accordi stile televendita, tre per due e omaggi vari.
Niente, alla fine è saltato tutto. E fra i mille pianti di chi non voleva il commissariamento - il fronte Lotito ma anche alcuni presidenti illuminati di A - ora non resta che affidarsi all’uomo forte del Coni. Una scelta delicata, perché c’è bisogno di un personaggio al di fuori dagli schemi patetici di quest’ultima sceneggiata di Fiumicino, in grado di chiudere per sempre il rubinetto delle clientele di un sistema sconfitto.
E non sarà semplice, perché ci sarà da riformare tutto e da nominare anche un ct per una Nazionale da ricostruire. L’aspetto più visibile di un disastro epocale con una sola via d’uscita: togliere il calcio dalle mani di chi lo ha portato alla rovina.
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