MILANO. Dopo trent’anni si chiude l'era Berlusconi al Milan. Ma l'impronta del Cavaliere resterà indelebile. Una squadra-azienda, campagne acquisti faraoniche, il «bel giuoco» per costruire successi e vendere spettacolo: ovvero, 30 anni di Milan targati Silvio Berlusconi.
Il «presidente più vincente della storia del calcio», come ama definirsi lui stesso, ha rivoluzionato il mondo del pallone da quando il 20 febbraio 1986 rilevò da Giussy Farina la società sull'orlo del fallimento. Un salvataggio, «una questione di cuore» ha sempre detto il Cavaliere (negando una simpatia precedente per l'Inter) che in 30 anni ha speso per il Milan oltre un miliardo di euro e vinto 28 trofei, segnando un “pre” e un “post” nel calcio italiano, come aveva fatto con la tv e come avrebbe fatto con la politica. Il suo Milan introduce l'idea del calcio-spettacolo. Al primo raduno atterra assieme alla squadra in elicottero all'Arena con la Cavalcata delle Valchirie, chiede maglie rinforzate come nel football per intimorire gli avversari, si accontenta di quelle acriliche, con colori più televisivi. Sul palco del teatro Manzoni diventa presidente il 24 marzo '86, accantona Gianni Rivera, fa ristrutturare la sede di via Turati, riorganizza il club.
Vincere divertendo è la missione. «Dobbiamo diventare il club più titolato al mondo», annuncia nell'estate '87. Gli scettici si ricrederanno. Non mancheranno momenti drammatici, la notte di Marsiglia, la finale di Istanbul, fino a Calciopoli. Fra quelli gloriosi, il primo scudetto nel 1988, l'Intercontinentale a Tokyo nel 1989, la Coppa Campioni vinta col Barcellona nel '94 e la finale di Champions con la Juventus nel 2003. Per il Cavaliere, l'allenatore è prima di tutto un motivatore. Pensa subito al coach della Milano del basket, Dan Peterson, poi sceglie Arrigo Sacchi (1987-91). Anche grazie gli olandesi Gullit, Rijkaard e Van Basten l'intuizione paga, come la promozione dalla polisportiva Mediolanum (poi archiviata dopo 5 anni) alla panchina di un altro “homo novus”, Fabio Capello, fra il '91 e il '96. Fra tv, potere e calcio i confini sfumano. Da Palazzo Chigi “silura” il ct azzurro Zoff nel 2000 e nel 2001 licenzia dal Milan Zaccheroni che nel '98 vince lo scudetto al primo anno ma sfida il dogma della difesa a tre e diventa il terzo dei 4 esonerati nei primi 15 anni berlusconiani (dopo Liedholm e Tabarez, prima di Terim). Ancelotti (2001-09) vince tutto e se ne va quando Berlusconi gli dà le colpe del campionato perso. Poi, lascia anche Leonardo, per “incompatibilità” col n.1 rossonero. Allegri è l'ultimo a raccogliere titoli (scudetto 2011 e Supercoppa italiana 2012) e il primo dei quattro esonerati dal 2014, oltre agli esordienti Seedorf e Inzaghi. Con Mihajlovic il feeling non è nato, anche lui riceverà il benservito.
Ma non è più il Milan delle spese folli, dei capitani storici Baresi e Maldini, e dei Palloni d'Oro, da Van Basten a Weah, da Papin a Baggio, da Shevchenko a Ronaldinho. L'ultimo pallone d'oro rossonero è Kakà, la sua cessione nel 2009 segna la svolta. Partono Ibrahimovic e Thiago Silva, in società iniziano frizioni fra Barbara Berlusconi e Adriano Galliani.
Il resto è storia di oggi.
I commenti dei lettori