Gorgone: «Serie A da sogno Trieste resta un mio pallino»
Parla l’ex centrocampista autore di un doppio salto sulla panchina del Frosinone «Il giorno dello spareggio di Dro sono stato felice ma l’Unione merita altro»

TRIESTE. Era il 30 maggio 2010: in quel Frosinone-Triestina finito 2-2, nelle file alabardate c’era Giorgio Gorgone. Cinque anni dopo, il romano ex alabardato ha portato a termine un’impresa clamorosa proprio sulla panchina dei ciociari come vice di Stellone, portando il Frosinone in due anni dalla Lega Pro alla A.
Gorgone, la vita è strana: cinque anni dopo, Frosinone ha tutto un altro sapore: cosa si prova?
«Io quella partita di Frosinone del 2010 la ricordo bene perché mi ha segnato: ho avuto quell’infortunio per il quale poi ho smesso di giocare. Sì, sono stato schierato 20 minuti nello spareggio di ritorno col Padova, ma ero già rotto e sono dovuto riuscire subito. Effettivamente a volte la vita sorprende, ma sono solo coincidenze, niente di più. Dispiace che da quell’epoca la Triestina abbia avuto un tracollo incredibile, resta la squadra alla quale sono più legato. E con un grande rimpianto».
Quale?
«Non dimentico che l’anno seguente Fantinel ebbe l’idea di propormi di allenare la squadra, ma poi le idee bisogna metterla in pratica, non solo averle. Ma i collaboratori che aveva attorno dissero che era un azzardo, e finì con la seconda retrocessione. Penso che qualcosa si poteva fare, avevo meno esperienza di adesso ma tanto entusiasmo, e diedi piena disponibilità. Mancava il patentino e c’erano altri problemi, ma volendo si poteva fare tutto».
Dopo l’anno positivo sulla panchina della Berretti alabardata, il decollo con il Frosinone: come si fa a salire dalla Lega Pro in serie A in due anni?
«La base è una buona qualità di giocatori, che non è casuale ma costruita dalla bravura di chi la fa. E poi il lavoro, l’organizzazione, l’armonia interna. E poi i risultati aiutano, è una catena che porta un entusiasmo pazzesco. Contano anche gli episodi e le annate particolari dei giocatori, ma la differenza la fanno la capacità, il lavoro e l’organizzazione».
Da vice di Stellone, quanti meriti rivendica in questa cavalcata vincente?
«Chi sa come funziona uno staff tecnico, sa anche l’importanza del mio ruolo. Sono cresciuto molto nel lavoro a livello gestionale: quando si dice che un vice non ha esperienza, si sbaglia, significa che non si sa nulla. Perché c’è tutto: il contatto con i giocatori, il lavoro, l’organizzazione. Manca solo la visibilità. Poi il rapporto con Stellone è di totale armonia».
C’è la voglia di provare l’avventura da titolare in panchina o proseguirà come vice di Stellone a Frosinone?
«Dopo la Lega Pro e la serie B, ora potrei conoscere la serie A: diciamo che a meno di proposte davvero importanti, questo sarebbe il momento meno opportuno per provarci. Vivere la A da vicino è stimolante e porterà ulteriore esperienze importanti nel mio bagaglio». E la Triestina ha continuato a seguirla?
«Sempre. Il giorno dello spareggio di Dro, ho chiamato un tifoso sul posto quando la partita non era ancora finita. Contento per come sia andata, peccato per la realtà attuale, perché so la passione che si potrebbe rigenerare a Trieste facendo il calcio in un certo modo. E comunque la Triestina rimane sempre un mio pallino».
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