NELLE donne con la mutazione “Jolie”, il farmaco mirato olaparib, già approvato per il tumore al seno metastatico, dimostra importanti benefici nella sopravvivenza anche per gli stadi precoci della malattia. Dalla sessione plenaria virtuale della Società Europea di Oncologia Medica (Esmo) arrivano a confermarlo i nuovi dati dello studio OlympiA: olaparib come trattamento adiuvante (cioè dopo l’intervento chirurgico) ha dimostrato di portare un miglioramento statisticamente significativo nella sopravvivenza globale rispetto al placebo, in pazienti con mutazione germinale BRCA e tumore della mammella in stadio precoce ad alto rischio di ricaduta (HER2-negativo), già trattate con chemioterapia.
Cosa significa "alto rischio"
“Gli ultimi risultati dello studio OlympiA sono un’ottima notizia per i pazienti con una specifica forma ereditaria di cancro al seno, e confermano che è in corso una vera rivoluzione nella terapia di questa malattia, basata su trattamenti sempre più mirati ed efficaci”, spiega Michelino De Laurentiis, Direttore del Dipartimento di Senologia dell'Istituto tumori Pascale di Napoli e Principal Investigator dello studio OlympiA per l’Italia. Nello specifico, i risultati si riferiscono ai tumori della mammella ereditari, insorti in donne con mutazione in uno o entrambi di due geni specifici denominati BRCA1 e BRCA2. La maggior parte di questi tumori, quando identificati in fase precoce, guariscono. Non tutti però, e una parte di questi ha un rischio più elevato di ripresentarsi. “Lo studio OlympiA - prosegue l’esperto - ha ora dimostrato che, in questi casi, è possibile usare olaparib per ridurre ulteriormente il rischio di recidiva e aumentare le probabilità di guarigione definitiva”.

Lo studio Olympia
Lo studio OlympiA è stato condotto dal Breast International Group (BIG) in collaborazione con il Frontier Science & Technology Research Foundation, NRG Oncology, AstraZeneca e MSD. Più nel dettaglio, i dati mostrano che olaparib ha ridotto il rischio di morte del 32% rispetto al placebo. Il tasso di sopravvivenza a tre anni è stato del 92,8% rispetto all’89,1%, mentre a quattro anni è stato dell’89,8% rispetto all’86,4%. Si tratta del primo farmaco della classe dei PARP inibitori a dimostrare un beneficio in sopravvivenza globale nel carcinoma mammario in stadio precoce e proprio sulla base dei risultati di questo studio l’agenzia regolatoria statunitense, la Fda, l’ha da poco approvato olaparib anche per il carcinoma mammario iniziale nelle pazienti BRCA-mutate.

L'importanza del test genetico
Poter accedere ai test genetici per le mutazioni Brca diventa, ora, ancora più importante, perché sapere se si ha la mutazione non è più importante solo per mettere in atto strategie di prevenzione individuali e familiari, ma permetterà di personalizzare ancora di più la cura. “E’ fondamentale che tutte le pazienti affette da neoplasia triplo negativa effettuino il test BRCA al momento della diagnosi poiché, in caso di mancata risposta completa alla chemioterapia neoadiuvante o in presenza di tumori superiori ai due cm o con almeno un linfonodo positivo, la mutazione genetica potrà consentire di eseguire un trattamento di mantenimento con un reale vantaggio di sopravvivenza” sottolinea Laura Cortesi, Responsabile della Struttura di Genetica Oncologica presso il Dipartimento di Oncologia dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Modena: “Anche in pazienti affette da tumori a recettori ormonali positivi, insorti entro i 35 anni di età, o con pregresse neoplasie ovariche o forte familiarità, può essere utile eseguire il test BRCA a scopo terapeutico, qualora siano presenti almeno quattro linfonodi interessati oppure non vi sia una risposta completa patologica alla terapia neoadiuvante”.

In Italia si stima che, nel 2020, 55.000 donne abbiano ricevuto una diagnosi di tumore al seno e la presenza di una mutazione germinale BRCA si rileva in circa il 5% delle pazienti. Il test genetico viene eseguito su sangue e può essere prescritto dall’oncologo o dal genetista, che sono responsabili anche di informare la paziente.