OGGI si fissa un nuovo punto di riferimento nella storia del tumore al seno metastatico. Lo studio MONALEESA 2, presentato al congresso europeo di oncologia medica (Esmo), porta infatti la speranza della sopravvivenza ad oltre 5 anni. Vuol dire che il 50% delle pazienti con il tumore al seno al IV stadio del tipo più comune, quello ormono-sensibile, può vivere più di questo tempo. A volte molto di più. È un traguardo della medicina di precisione, come ci dice Myriam Mendila, Chief Medical Officer di Novartis Oncology e Head of Global Medical Affairs di Novartis: dei farmaci a bersaglio molecolare e della loro combinazione migliore con altri farmaci sviluppati in 30 anni di ricerca. In un percorso di cura che è sì sempre più lungo ma che, ovviamente, non lo è mai abbastanza. E che deve anche salvaguardare la qualità di vita.
Myriam Mendila, qual è l'importanza dei risultati dello studio MONALEESA-2?
“È la prima volta che si hanno dati di sopravvivenza globale per la combinazione in prima linea di un inibitore di CDK4/6 con un inibitore dell’aromatasi, tra i farmaci più utilizzati nelle donne in post-menopausa con tumore al seno ER-positivo ed HER2-negativo (il tipo di tumore al seno più comune, ndr.). Soprattutto, con questa combinazione è stata osservata la più lunga sopravvivenza globale mediana mai raggiunta fino ad oggi non solo in questa popolazione di pazienti, ma nel tumore al seno metastatico in generale: 64 mesi, ossia più di 5 anni. Si tratta di un aumento della sopravvivenza mediana di più di un anno rispetto al trattamento con il solo inibitore dell’aromatasi. Infine, questo è il terzo studio clinico su ribociclib nel tumore al seno avanzato che ottiene risultati significativi dal punto di vista statistico e importanti dal punto di vista clinico. Questi dati rappresentano un nuovo benchmark (punto di riferimento, ndr.) nel tumore al seno metastatico”.
Qual è, secondo lei, il messaggio realistico da dare alle donne che ricevono una diagnosi di tumore al seno metastatico oggi?
“Negli ultimi trenta anni la sopravvivenza mediana è passata da circa 2 anni a 4. Ci sono stati molti miglioramenti, ma sempre pochi per queste donne. Raggiungere una sopravvivenza mediana di 5 anni e oltre non ha precedenti ed è un messaggio di nuova speranza. È anche importante sottolineare che queste terapie non peggiorano la qualità di vita. I dati aggiornati dagli studi del Programma MONALEESA mostrano che la qualità di vita si mantiene o, in molti casi, migliora. Vuol dire poter dare la migliore sopravvivenza di sempre con un impatto positivo sulla qualità di vita. Lo studio MONALEESA 2 ha il più lungo follow up di qualsiasi altro inibitore CDK4/6: sei anni e mezzo. Ormai conosciamo bene i possibili effetti avversi e sappiamo come gestirli”.
I dati “real world” dalla pratica clinica confermano quanto osservato negli studi clinici?
“Ci sono molti dati che provengono dalla pratica clinica, sia pubblicati sia presentati in altre conferenze. Essenzialmente, confermano l’impatto significativo di ribociclib e della classe degli inibitori CDK4/6 sulla sopravvivenza: quello che vediamo negli studi clinici può essere traslato anche nel setting real world”.
Ci sono pazienti che rispondono meglio di altre?
“I benefici di sopravvivenza globale e di sopravvivenza libera da malattia sono stati osservati in tutti i sottogruppi di tumore al seno ER positivo HER2 negativo, sia luminal A che luminal B. All’inizio di quest’anno è emersa un’ipotesi interessante sulla possibilità di osservare attività del farmaco diverse sulla base del profilo dell’espressione di 50 geni del tumore. Ma, come detto, il Programma MONALEESA ha dimostrato che il farmaco è attivo in tutti i sottogruppi”.
Gli inibitori di CDK4/6 hanno già cambiato la pratica clinica nel tumore al seno metastatico, sia in pre- che in post-menopausa. Ci sono dati positivi anche per il tumore in stadio iniziale?
“Da circa due anni stiamo testando ribociclib nelle pazienti con tumore al seno in stadio precoce, come terapia adiuvante dopo la chemioterapia, nello studio clinico di fase III NATALEE. Si tratta di pazienti con tumore in stadio II e III con un rischio di recidiva da intermedio ad alto. La sperimentazione sta testando una terapia con ribociclib della durata di tre anni con due dosaggi: lo stesso testato nel metastatico e più basso. Abbiamo completato il reclutamento lo scorso aprile e ci aspettiamo i risultati alla fine del prossimo anno o all’inizio del 2023. Pensiamo che ci saranno benefici importanti anche in queste popolazioni di pazienti”.
Qual è il prossimo passo?
“Una delle domande aperte è come trattare nel modo ottimale le pazienti con tumore ER-positivo ed HER2-positivo. La grande questione, però, è ovviamente come riuscire a guarire le donne con tumore metastatico. Oggi riusciamo a curare molto bene il tumore in stadio iniziale, ma raggiungere la guarigione in chi è metastatica è davvero un evento raro. Questo è il nostro obiettivo. Nella nostra pipeline abbiamo altri farmaci, come alpelisib (già approvato negli Usa e in Europa, ndr.) per il quale abbiamo un programma di sviluppo clinico robusto”.